L’estetica di un secolo ribelle: il Novecento italiano va in mostra a Padova
Cento anni di arte italiana, dall’utopia futurista alla Transavanguardia contemporanea: i volti del “secolo breve” si rivelano, al Museo Eremitani di Padova, nelle opere dei maestri che hanno (ri)scritto il nostro Novecento.
Raccontare il Novecento italiano in novantadue opere è l’ambiziosa sfida colta dalle curatrici della mostra ’900 italiano. Un secolo di arte, visitabile fino al 10 maggio al Museo Eremitani di Padova. Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti raccontano “una storia” del XX secolo, documentando senza pretese di esaustività una delle sue infinite letture possibili. ’900 italiano è un percorso lineare nella sua estrema semplicità curatoriale, il riassunto breve di un secolo ancora vivo nelle coscienze: le opere degli artisti che lo hanno ritratto indagano la crisi dell’animo umano di fronte all’illogicità di una Storia che ne manipola i fili e continua a ripetersi.
I capolavori selezionati contestualizzano il susseguirsi e l’intrecciarsi delle correnti artistiche italiane, intrappolate nel cortocircuito dell’eterno ritorno della classicità, interpreti della parabola di peccato e redenzione del nostro Novecento. Attraverso le piccole sale del museo, il visitatore sfoglia un libro di storia dell’arte, sotto i suoi occhi scorrono le pagine di una modernità inarrestabile, scandita da opere celeberrime e prestiti mai esposti prima. Dai voli pindarici nell’utopico universo futurista ai tragici abissi dei conflitti mondiali, il filo rosso della mostra è il tempo: è lui a cadenzare le sperimentazioni italiane e a condurle alla non figuratività, fiume carsico destinato a risalire, spogliato dell’immagine, nelle ricerche astratte del secondo Novecento.
GLI ARTISTI IN MOSTRA A PADOVA
L’uomo-titano di Boccioni divampa di cieca fiducia nel progresso, come l’Italia nelle mani dei futuristi. Il “ritorno all’ordine” di de Chirico richiama l’arte alla chiusura nel silenzio metafisico, tra le macerie della Prima Guerra Mondiale. Alla deriva in un mare oscuro come l’Isola dei giocattoli di Savinio, gli artisti respirano la lucida consapevolezza dei limiti di essere umani: Morandi e Carrà si rifugiano nella poesia quotidiana del Realismo magico; si rincorrono l’austero Primordialismo plastico, il monumentalismo di Severini e Sironi, il realismo di Guttuso, mentre sotto la cupola di San Pietro si profila il suggestivo espressionismo della Scuola di Via Cavour.
Sulle sue ali di aquilone l’angelo di Licini traghetta il visitatore nella seconda parte del secolo. Il Novecento lotta per la sopravvivenza della forma, rinnegata perché specchio delle angosce umane: nella necessità di uscire dalle regole estetiche di una società dalle mani insanguinate, gli artisti conducono il figurativo alla morte insieme al loro dio, lo sostituiscono con l’idea e si aprono al segno, allo spazio e alla materia. Isgrò salva parole che rischiano di scomparire per sempre, imperano i sacchi laceri di Burri e il gesto “sacerdotale” di Fontana. Le ricerche del gruppo Forma e della Pop Art italiana, l’Arte concettuale di Boetti e Paolini, l’etica dell’Arte Povera, insieme alle provocazioni del Gruppo Enne, sono solo alcuni dei volti in mostra di questo Novecento, mascherato da angelo del progresso e demone della guerra. Il capolinea è il ritorno al figurativo della Transavanguardia alla fine degli Anni Settanta: si scende, anche se il viaggio è appena iniziato.
Dalla tela allo spazio, dall’immagine alla materia, fino alla lettera e al senso, sono questi i poli in costante disequilibrio entro i quali si muove l’arte italiana di un Novecento (im)prevedibile, secolo che è esso stesso opera “aperta”, ambiguamente incompiuto come la sua arte.
‒ Serena Tacchini
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