I dimenticati dell’arte. Il pittore e illustratore Serafino Macchiati
Prosegue la nostra rassegna sui dimenticati delle arti in Italia. Dopo il pittore Mario Puccini e il poeta Sergio Corazzini, torniamo alle arti visive con la storia di Serafino Macchiati.
Un talento da riscoprire, quello di Serafino Macchiati (1861-1916), pittore e illustratore marchigiano celebrato, come a volte accade, più all’estero che nel nostro Paese.
MACCHIATI DALLE MARCHE A ROMA
Serafino nasce nel cuore delle Marche, a Camerino: il papà Primo insegna e la famiglia si sposta da una città all’altra, dall’Emilia a Napoli fino alla capitale, dove arriva nel 1880. Già da giovanissimo però Macchiati si fa notare: a soli 16 anni realizza alcune etichette per liquori oltre a un piccolo “quadro di monache”, esposto nel 1879 alla mostra della Promotrice di Bologna.
A Roma conosce e frequenta un gruppo di giovani artisti e intellettuali come Giacomo Balla, Umberto Boccioni e Sibilla Aleramo: in loro compagnia Macchiati gira la campagna romana per analizzare la situazione dei contadini, con un occhio rivolto a problematiche sociali e politiche di stampo socialista. Attento al Verismo, non si ritrova nel Simbolismo decadente che domina la scena romana dell’epoca, anche se guarda con interesse ad alcune opere di Francesco Michetti.
MACCHIATI ILLUSTRATORE A PARIGI
Abbandona la pittura per dedicarsi anima e corpo all’illustrazione negli stimolanti ambienti dell’editoria milanese del primo Novecento. Esegue le prime vignette per la casa editrice Sonzogno oltre a Racconti di Natale di Cordelia (1886) e per Il canzoniere dei fanciulli di Enrico Fiorentino (1888), entrambi pubblicati da Treves, ma il successo arriva con le illustrazioni per la Tribuna Illustrata, dove lavora come disegnatore per quattro anni (1892-96).
Grazie al suo tratto personale e innovativo, nel 1898 Macchiati si trasferisce a Parigi, su invito dell’editore Lemerre, che gli affida ben quattro romanzi di Paul Bourget da illustrare. Si tratta di un’ottima palestra per l’artista, che può affinare il proprio stile con una serie di vignette in bianco e nero caratterizzate da un segno morbido ed elegante, una grafica moderna e una grande maestria nell’impaginato.
In Francia Macchiati si trasforma in un artista a tutto tondo: oltre all’attività di illustratore per editori come Lemerre, Laffitte, Hachette, Fayard, collabora a diversi periodici francesi come Le Figaro Illustré e Lectures pour tous, lavora come scenografo e riprende a dipingere con uno stile vicino ai postimpressionisti, senza però dimenticare la sua italianità, come ha scritto Raffaele De Grada, che vede nei suoi dipinti: “una impronta italiana […] nella malinconia dei tramonti, nella vibrazione degli alberi in primavera, nel piacere romantico degli orizzonti“.
LA SFORTUNA CRITICA DI SERAFINO MACCHIATI IN ITALIA
Ma l’Italia non dimostra la stessa stima della Francia per Macchiati. A parte le illustrazioni per la Divina Commedia commissionategli da Alinari nel 1902, partecipa a due edizioni della Biennale di Venezia, nel 1901 e nel 1907, senza grandi riscontri: colpito da una malattia fulminante, muore a Parigi nel 1916.
Purtroppo il successo tricolore arriva soltanto post mortem, sotto forma di una sala monografica curata da Vittorio Pica alla Biennale di Venezia del 1922 con 32 opere: una forma di risarcimento postumo a un artista che il nostro Paese non ha saputo riconoscere.
– Ludovico Pratesi
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