Tra i labirinti della memoria. Mostra di Eva Fischer a Cagliari
A cento anni dalla nascita, a Cagliari va in scena la prima retrospettiva di Eva Fischer, pittrice della memoria, l’ultima testimone della Scuola Romana del dopoguerra.
Eva Fischer (Daruvar, 1920 – Roma 2015), pittrice jugoslava naturalizzata italiana, è stata l’ultima testimone della Scuola Romana del dopoguerra, artista riconosciuta, apprezzata e anche protagonista della dolce vita degli Anni Cinquanta e Sessanta.
EVA FISCHER DA BELGRADO A BOLOGNA
Diplomatasi all’Accademia di Belle Arti di Lione nel 1939, Eva Fischer torna dalla famiglia a Belgrado, ma nel 1941 i nazisti bombardano la città senza dichiarazione di guerra. Il padre Leopoldo, assieme ad altri trentatré familiari, vengono deportati dai nazisti. Eva, la madre e il fratellino più piccolo fuggono da Belgrado ma vengono catturati e internati dai fascisti nel campo di Vallegrande, presso l’Isola di Curzola. Per poter curare la madre malata, Eva ottiene un permesso per recarsi all’ospedale di Spalato e in seguito a Bologna, dove, aiutata dagli amici e da altri membri del Partito d’Azione, Eva e i suoi familiari scappana sotto il falso nome di Venturi. Eva inizia a collaborare attivamente con i partigiani e l’A.N.P.I. la ricorderà tra i soci onorari.
LA VITA DI EVA FISCHER A ROMA E NEL MONDO
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Eva Fischer si trasferisce a Roma, eleggendola a città d’adozione ed entrando a far parte del gruppo di artisti di via Margutta; i suoi amici e colleghi si chiamano Mafai, Guttuso, Cagli, Campigli, Fazzini, Levi, Alvaro, Capogrossi, Tot, Bartolini, Maccari, Greco. Vive in via del Babuino e la sua prima personale si tiene alla Galleria La Finestra nel 1947. Tra le sue frequentazioni, de Chirico, Mirko, Penna, Ungaretti, Ferrara, Berto, Gatto, Dalí, Picasso e Visconti.
Nel 1956 cambia casa e diventa grande amica del suo vicino di casa, Ennio Morricone, che nel 1992 le dedica un cd di 12 brani ispirato alle sue opere, intitolato A Eva Fischer Pittore, pubblicato con il catalogo dei dipinti. Nel 1963 le nozze con lo scrittore e poeta Alberto Baumann: i due non posano per i fotografi ma per i pittori, e in tandem in bicicletta il loro corteo nuziale sino al Colosseo è acclamato dagli applausi.
Nel frattempo vive anche a Parigi, diventando amica di Marc Chagall; a Londra negli Anni Sessanta espone alla Galleria Lefevre; in Spagna nell’atelier di Juana Mordó i suoi dipinti sono in dibattito con quelli dei pittori spagnoli in lotta contro il franchismo. Mentre negli USA contava numerosi collezionisti ed estimatori, fra i quali l’attore Humphrey Bogart, Lauren Bacall e Henry Fonda.
Nel 1981 a Roma ha realizzato le vetrate per il Museo Ebraico, mentre nel 1991 viene costituita la Fondazione Eva Fischer a Kfar Saba, in Israel).
LA MOSTRA A CAGLIARI
Le 140 opere in mostra, le fotografie e altri oggetti appartenuti a Eva Fischer accompagnano il visitatore attraverso un viaggio nella storia del secolo scorso, ma anche dentro la sua storia personale e ripercorrono le sue fasi stilistiche e artistiche.
Il titolo della mostra, Si aspetta la Luna, è ispirato a un fatto accaduto nel 1954: Eva vede piazza Navona illuminata dalla Luna, decide di ritornare la notte seguente ma attende invano per immortalare il riflesso della luce, e mentre aspetta la gente si accalca attorno a lei domandando perché non dipinge, quindi lei scrive “si aspetta la luna” su un cartello e lo poggia sulla tela.
La retrospettiva attraversa tutto il percorso pittorico di Eva Fischer, mettendone in evidenza la resistente personalità come donna, come ebrea e come artista.
LA PITTURA DI EVA FISCHER
Eva Fischer ha dipinto il mondo degli ultimi, i paesaggi cittadini, i mercati, le mura di Roma, i paesaggi mediterranei, le biciclette, gli autoritratti, le figure, le orchestre, le composizioni ispirate alla musica di Morricone, le scuole di ballo e i voli. Nei dipinti romani la modernità delle immagini è aderente alla suggestiva realtà, mentre le modeste biciclette da lavoro simboleggiano personaggi in sostituzione di persone.
Dal 1946 ha realizzato la serie dei dipinti dedicati alla Shoah: l’artista, testimone di quegli anni di buio assoluto della Storia, dipinse in silenzio il suo dolore, il suo diario personale sulla tragedia vissuta. Questi dipinti vennero tenuti nascosti fino al 1989: il marito e il figlio sono i primi a vederli. Fischer rappresenta la sua storia e i suoi ricordi per trasmettere quanto accaduto e per non dimenticarlo. In questi dipinti, “chi non è tornato ha lasciato ai vivi l’eredità di ricordarli frugando nel tempo nei labirinti della memoria tra frammenti di buio e sprazzi di colore strade notturne senza inizio senza fine in un sentimento di partecipazione al dolore di tutti i tempi”, scrive l’artista.
Pittrice della memoria, nonostante la sofferenza vissuta in un campo di internamento, nelle sue opere esprime valori universali di coesione sociale e di pace. Nei suoi dipinti vivono figure piene di speranza in un mondo migliore e oggetti che raccontano la sua vita come fossero esseri senzienti. Negli ultimi lavori, colori gioiosi danno ottimismo, speranza e gioia di vivere, e il tocco del pennello sulla tela diventa simile a un passo di danza.
– Alessio Onnis
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati