Milano: al Museo del Novecento la grande mostra su Mario Sironi
A sessant’anni dalla morte, le 110 opere in mostra al Museo del Novecento di Milano ripercorrono la carriera di Mario Sironi. Dalla giovanile stagione simbolista al Futurismo e oltre.
Mario Sironi (Sassari, 1885 – Milano, 1961) è il fascista dall’animo bolscevico, tragico ma vigoroso, metafisico e futurista. Ieri come oggi, resta difficile interpretare l’aura dell’artista, ma se la sua è una pittura frammentaria, ogni suo frammento è monumentale.
LA PITTURA DI SIRONI
La mostra al Museo del Novecento segue un percorso lineare che marca l’evoluzione pittorica dell’artista, mantenendo ben evidenziate le analogie, come la visione drammatica e la predilezione per le tinte cupe.
Si comincia con il ciclo dei paesaggi urbani sfumati e personalissimi. Sironi è l’interprete dello squallore urbano che diventa bellezza. Sintesi di paesaggio urbano, Paesaggio urbano col tram e Periferia sono connotati da un intimismo simbolista declinato nella cupa intensità milanese.
Influenzato poi dall’opera di Boccioni, sperimenta tardivamente il Futurismo ma con l’ossessione della ricerca volumetrica. Ne è un esempio Testa futurista, un volto-maschera con rifrazioni cubiste.
I SOGGETTI DI SIRONI
Proseguendo nelle sale centrali scopriamo i suoi personaggi: non sono belli ma “eroi barbarici” persi nella fluidità della materia. Ad esempio la ballerina, tema par excellence futurista, nel suo collage diventa un automa screziato dal pathos. È attraverso opere come Venere dei porti che cogliamo la sua essenza originalmente metafisica. I manichini di Sironi, infatti, sono più umani di quelli dechirichiani: il suo è un antropomorfismo che si traduce in un dispiegamento del tragico reale.
Quella di Sironi è un’arte cangiante, come dimostra la sua adesione a Novecento Italiano che lo eleva a classicista moderno. Lo è a modo suo, come sempre, e un’opera come Il pescatore dimostra che alla fine è il più antinovecentista di tutti.
PRIMA E DOPO IL FASCISMO
Dopo la crisi espressionista della fine degli Anni Venti, con i fascistissimi Trenta si passa all’arte monumentale, di cui Sironi fu teorico e interprete, ben rappresentata dalla luminosa Vittoria alata e dal visionario Condottiero a cavallo.
Indicativo l’accostamento con Lazzaro che, per la prima volta nella secolare iconografia del soggetto, non risorge. È l’epitome laica del crollo delle illusioni, fascismo compreso.
GLI ULTIMI ANNI DI SIRONI
Lasciata alle spalle la sezione della pittura murale, ci avviamo verso la fase crepuscolare. Segnato dalla fucilazione mancata ‒ grazie all’intervento del partigiano Rodari ‒ e dal suicidio della figlia Rossana, l’artista è diviso tra inquietudine e bisogno di quiete. L’Apocalisse, dipinta poco prima della morte, è la sintesi perfetta degli ultimi anni, quelli in cui sperava “dopo tante burrasche, tante tempeste, tanto bestiale soffrire […]” di arrivare “lo stesso in un porto dove per questo misero cuore ci sia pace e silenzio”.
– Lucia Antista
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