Klimt e la Secessione viennese. Grande mostra al Museo di Roma
Ripercorre l’esperienza creativa di Klimt e della Secessione Viennese la mostra in corso a Roma, promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, co-prodotta da Arthemisia, che si occupa anche dell’organizzazione con Zètema Progetto Cultura, in collaborazione con il Belvedere Museum e Klimt Foundation. L'obiettivo è gettare nuova luce su uno degli artisti più studiati di sempre
Anche Roma ebbe, per un lustro, la propria Secessione – quattro le grandi mostre internazionali tra il 1912 e il 1916 –, propaggine epigonale del grande moto utopico di rinnovamento delle arti nato a Monaco di Baviera ma affermatosi, soprattutto, con la Wiener Secession del 1897, promossa e capitanata da Gustav Klimt (Baumgarten, 1862 – Vienna, 1918), il più originale e lambiccato di quel manipolo di pionieri. La parola d’ordine fu Gesamkunstwerk, opera d’arte totale: si affacciava così in Europa il sogno dell’unità polifonica tra tutte le arti e fra queste e la vita, l’arte per eccellenza. Un sogno che di lì a poco si sarebbe alimentato, nel secolo incipiente, dell’impeto creativo e ribelle delle grandi Avanguardie.
LE PAROLE DI ARDENGO SOFFICI SU KLIMT
Così scriveva, sulla Voce, Ardengo Soffici, brillante cronista di quegli anni fecondi e turbolenti: “Immaginatevi un Carnevale in una stanza mortuaria… Tutt’intorno strisciano razzi, bruciano fiammiferi di Bengala, turbinan girandole, volano e si divincolano strisce di foglio di ogni colore, fra una pioggia di stelle di magnesio, gialle, azzurre, rosse, bianche. L’arte del Klimt suscita nel suo complesso, di queste profonde immagini”. Il giudizio è ingeneroso e risente del milieu futurista beffardo e irriverente, ma afferra con acume, tra la profluvie dei colori e il luccichio degli ori, quel soffio di tragedia incombente che impregnava il clima estetico del Finis Austriae.
LA MOSTRA DI KLIMT A ROMA
Veniamo ora alla grande mostra romana: oltre 200 opere tra dipinti, disegni, manifesti d’epoca, oggetti di design e sculture, provenienti dal Museo Belvedere e dalla Klimt Foundation, tratteggiano l’itinerario klimtiano e offrono una visione panoramica della nutrita cerchia secessionista che, sul versante pittorico, predilesse il paesaggio, il ritratto, la scena di vita popolare, la rappresentazione allegorica. Di Klimt, che avvertiva la fascinazione estetica dei mosaici ravennati e delle decorazioni vetrarie di Murano, che ammirava le stampe giapponesi ukiyo-e per lo più aliene da illusioni prospettiche, abbiamo negli occhi i quadri sontuosi e rutilanti del “periodo aureo” e le ermetiche policromie dei Malmosaik (letteralmente pitto-mosaici), nei quali la tensione naturalistica è stretta nel gioco sapiente e stilizzato dei colori a suggerire la trama di una fantastica visione musiva. Lo storico dell’arte Alois Riegl leggeva nell’oro di Klimt la volontà di sostituire, nel piano della rappresentazione, il nesso meccanico con la connessione magica tra le figure. E a noi piace leggere, negli sfondi e negli inserti dorati della Giuditta o del Fregio di Beethoven, il desiderio di dare spazio a una ipotetica realtà transempirica vagamente intuita, tenacemente sognata.
– Luigi Capano
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