La straordinaria mostra su Donatello a Firenze
Chiuderà i battenti il prossimo 31 luglio la mostra che ripercorre la carriera e la fortuna di Donatello tra Palazzo Strozzi e il Museo Nazionale del Bargello
Non poteva non essere una mostra fiorentina quella “epocale” dedicata a Donatello (Firenze, 1386-1466). Una mostra incredibile, concepita come evento dell’anno ed esposizione di punta della programmazione di Fondazione Palazzo Strozzi. La stretta sinergia con i Musei del Bargello e la curatela scientifica di Francesco Caglioti sono riusciti a in-formare un percorso espositivo inedito, affatto semplice, concernente un nutrito corpus di opere perlopiù legato alle dimensioni monumentali e dunque di inamovibilità delle stesse.
La mostra, unica e molto probabilmente irripetibile per completezza, vastità e prestiti illustri, ripercorre e ricostruisce la fortunata carriera di Donato di Niccolò di Betto.
Sono circa cento le opere presenti, divise tra disegno, pittura, scultura, miniatura e oreficeria, cinquanta delle quali attribuite al “maestro dei maestri”, realizzate in sessant’anni di attività ininterrotta, lette ed esposte secondo la metodologia del confronto per lasciare emergere spunti, influenze, collaborazioni.
Il percorso espositivo diventa una sorta di viaggio straordinario per immagini (opere) nella vita e attraverso la lunga eredità di Donatello, comodamente suddivisa in quattordici sezioni cronologiche e distribuita tra due sedi espositive, Palazzo Strozzi (sez. 1-11) e il Museo Nazionale del Bargello (sez. 12-14), per antonomasia il “museo donatelliano”.
LA MOSTRA SU DONATELLO A FIRENZE
Documentato per la prima volta nella bottega del Ghiberti tra il 1404-07 nel pieno dei lavori per la realizzazione della Porta Nord del Battistero, Donatello oblitera la sua presenza tra le fila degli orafi, di cui non sarà mai eccelso interprete, ma già intorno al 1406 ottenne il primo incarico autonomo per la Porta della Mandorla del Duomo e molto probabilmente in questo clima maturò l’amicizia con Filippo Brunelleschi, più vecchio di lui di dieci anni, suo vero e unico maestro. Da queste premesse la mostra prende il via con una sorta di disputa virtuosa su come scolpire il Cristo crocifisso, inevitabile perciò ne deriva il confronto tra i due celebri Crocifissi lignei, quello di Santa Croce e quello di Santa Maria Novella, che fanno da quinta scenica al David vittorioso, 1408-1409 (primo David in marmo per Donatello), realizzato per la fabbrica del Duomo. Tante le invenzioni che la mostra mette in rilievo, dalla nuova concezione del gruppo scultoreo monumentale al bassorilievo “stiacciato” fino alla riconsiderazione della terracotta e del suo impiego “nobile” quale materiale autonomo per la creazione. Ne è un mirabile esempio la Madonna col Bambino del 1415 conservata al Victoria and Albert Museum di Londra e presente in mostra.
LA TECNICA E L’INFLUENZA DI DONATELLO
La sezione Spazio scolpito, spazio dipinto ci parla di un Donatello innovatore, aperto alla sperimentazione, capace di metabolizzare gli insegnamenti di Brunelleschi sulla nuova prospettiva razionale per approdare a modernissime soluzioni per risolvere la complessità dello spazio simulato in pochissimi millimetri di spessore. Accade nel Convito di Erode, 1423-1427, del Battistero di Siena, restaurato per l’occasione, oppure nelle Madonne Pazzi di Berlino e Hildburgh di Londra, dove emerge finanche l’aspetto emotivo attivato dalla complicità sentimentale che la Madonna e il bambino intrattengono. Si procede poi attraverso i luoghi per cui Donatello ha lavorato, Siena, Prato, Padova, Firenze, trovando moltissimi seguaci ed entrando in dialogo con altri celebri artisti quali Mantegna e Bellini ma anche Squarcione, Zoppo e Lombardo. Giunti al Bargello, il percorso si concentra sulle opere identitarie della relazione dicotomica Donatello/Bargello: il San Giorgio, il Marzocco, il David in bronzo. Conclude e completa la mostra una sezione speciale dedicata all’influenza di Donatello sugli artisti a lui successivi, tra cui Raffaello, Michelangelo, Bronzino fino ad Artemisia Gentileschi, testimoniando ancora una volta l’importanza straordinaria della sua opera per le vicende dell’arte italiana.
‒ Gino Pisapia
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