L’Ottocento piemontese in mostra alla GAM di Torino
Il fermento artistico piemontese alle soglie del secolo scorso ispira la mostra alla GAM di Torino, che innesca un confronto fra le dinamiche sociali dell’epoca e quelle di oggi attraverso le opere della sua collezione
Qual è l’effettivo valore culturale di un museo? Che tipo di impatto e di responsabilità possono avere le sue collezioni? A queste domande risponde la Galleria d’Arte Moderna di Torino inaugurando una mostra che attinge dal proprio caveau per riconsegnare al pubblico tanto alcuni capolavori del XIX secolo quanto interessanti spunti di riflessione sulla nostra contemporaneità. Dal titolo Ottocento ‒ Collezioni GAM dall’Unità d’Italia all’alba del Novecento, l’esposizione offre la possibilità di ammirare tutte quelle opere custodite al secondo piano dell’edificio – temporaneamente chiuso per lavori di ristrutturazione – insieme ad altre recentemente restaurate grazie al prezioso sostegno dell’Associazione Amici della Fondazione Torino Musei (nella fattispecie due dipinti, Ecco Gerusalemme di Enrico Gamba e La Guida. Studio di castagni dal vero di Francesco Gonin).
LA MOSTRA SULL’OTTOCENTO ALLA GAM DI TORINO
Curata dal direttore della GAM, Riccardo Passoni, insieme a Virginia Bertone, la rassegna si muove nel contesto dell’Unità d’Italia per analizzare quel tipo di fermento artistico, politico e culturale che ha animato in particolar modo il Piemonte: un periodo estremamente fecondo nel quale la città di Torino (capitale italiana dal 1861 al 1865) ha dato nel 1863 i natali alla stessa Galleria d’Arte Moderna. Da questo scenario si snoda un percorso espositivo formato da otto sezioni che, con un numero complessivo di 71 opere, approfondisce sia tendenze e filoni pittorici sia intuizioni e abitudini sociali dell’epoca senza dimenticare di omaggiare tre grandi protagonisti di quella stagione – come Andrea Gastaldi, Antonio Fontanesi e Giacomo Grosso – con altrettante stanze monografiche. Oltre all’imponenza delle opere esposte, ciò che salta subito all’occhio è la scelta curatoriale di porre lo sguardo su significativi momenti di transizione che tanto hanno influenzato gli artisti di quel frangente storico. Una fase ricca di scoperte e di entusiasmi messa a confronto con il nostro presente.
L’ATTUALITÀ DELLA MOSTRA A TORINO
A rendere la mostra carica di spunti di riflessione sullo Zeitgeist attuale è la presenza di numerosi fenomeni, sociali e tecnologici, che tra la metà dell’Ottocento e gli albori del secolo successivo hanno iniziato a fare breccia nella sensibilità degli artisti: uno su tutti è l’avvento di un medium rivoluzionario come la fotografia. E se al giorno d’oggi artisti e illustratori guardano con fascino e timore a una tecnologia come quella delle Intelligenze Artificiali, lo stesso si può dire per tutti quei pittori che nel pieno del XIX secolo si sono ritrovati a dover fare i conti con dagherrotipi e altri apparecchi fotografici. Lo stretto rapporto che intercorre tra le varie tecniche artistiche dell’epoca è infatti evidente in opere come lo stupefacente Una visita schermita di Alberto Maso Gilli, L’agguato di Giovanni Battista Quadrone e Una lezione di ballo di Filippo Carcano nei quali, tanto per la composizione quanto per il taglio prospettico, l’influenza della fotografia è così esplicita da superare i confini della pittura stessa. Le riflessioni sulla natura mutevole delle immagini non sono però le uniche a definire dei punti di contatto con la società nella quale ci stiamo muovendo adesso. In molte delle tele presentate sono infatti evidenti sia riferimenti a un certo patriottismo (rintracciabile soprattutto nei ritratti dell’emblematico Pietro Micca eseguiti rispettivamente da Andrea Gastaldi e Luigi Di Giovanni), con relative considerazioni sulla futilità della guerra, che a una particolare riconsiderazione della figura femminile.
LA CONCEZIONE DELLA DONNA TRA IERI E OGGI
Esibita in atteggiamenti e forme sempre cangianti, la donna costituisce uno dei fil rouge della mostra: dallo scandaloso corpo martoriato che Francesco Mosso ha ben rappresentato nel suo La femme de Claude/L’adultera (che in qualche modo sembra anticipare di circa cento anni le delicate questioni sollevate dall’ormai celebre autoritratto di Nan Goldin) fino alle idilliache interpretazioni di chiara matrice simbolista concepite da Giulio Aristide Sartorio e Cesare Saccaggi. Fra le numerose opere che forniscono molteplici ritratti dell’universo femminile è d’obbligo ricordare Il dettato di Demetrio Cosola (dal quale emerge l’importanza culturale di un ruolo come quello della maestra elementare), il meraviglioso Nuda di Giacomo Grosso e le commoventi immagini materne presenti nella scultura di Medardo Rosso, Enfant au sein, e nel dipinto Triste madre di Evangelina Alciati. Capolavori carichi di pathos, questi ultimi, che chiudono idealmente l’esposizione lasciando allo spettatore un senso di speranza e responsabilità propedeutiche per accogliere il futuro nel migliore dei modi.
Valerio Veneruso
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