Alla Galleria Borghese di Roma la mostra ispirata alla pittura su pietra

Tecnica finita nel dimenticatoio già a metà Seicento, la pittura su pietra fu in voga per circa un secolo. La mostra alla Galleria Borghese di Roma ne approfondisce la storia e quella degli artisti che ne fecero uso

Tele e tavole erano troppo delicate. Dopo il terrifico Sacco di Roma del 1527 si rese evidente agli occhi dell’arte la necessità di trovare un supporto iconografico in grado di resistere a battaglie e catastrofi. Secondo le Vite di Giorgio Vasari, fu Sebastiano del Piombo a individuare la soluzione nell’affresco lapideo, già usato dagli antichi. È in omaggio a questa misteriosa tradizione, dileguatasi intorno alla metà del XVII secolo, che la Galleria Borghese ospita la mostra Meraviglia senza tempo. Pittura su pietra a Roma tra Cinquecento e Seicento.

Francesco Salviati, Ritratto di Roberto di Filippo Strozzi, olio su marmo africano, Coll. privata Ph. A. Novelli © Galleria Borghese

Francesco Salviati, Ritratto di Roberto di Filippo Strozzi, olio su marmo africano, Coll. privata Ph. A. Novelli © Galleria Borghese

LA MOSTRA ALLA GALLERIA BORGHESE

Oltre 60 le opere, provenienti da musei italiani, stranieri e importanti collezioni private, per raccontare l’anelito all’eternità di quadri, oggetti e arredi in pietre dure, che dalle miniere finirono nelle botteghe di artigiani e artisti e di qui nelle collezioni antiquarie e nelle più raffinate corti italiane. Il percorso espositivo, a cura di Francesca Cappelletti e Patrizia Cavazzini, si divide in otto sezioni con sfoggio di manufatti vertiginosamente diversi.
Anzitutto l’oggettistica di pregio. Di grande impatto il Tabernacolo Borghese-Windsor; l’orologio notturno in legno ebanizzato, lapislazzuli, bronzo dorato e specchi, con soggetti mitologici. Oppure lo splendido tavolo di ambito romano dal grande ovale in diaspro rosso, attorno al quale s’intrecciano decori in alabastro, marmo nero, madreperle, calcedonio orientale e broccatello di Spagna. S’intuì che le pietre fossero parlanti, nascondessero significati simbolici e miracolosi a seconda delle cromie e del valore. Alcuni vi dipinsero soggetti poetici, altri si dedicarono a personaggi di potere: il ritratto su porfido rosso di papa Clemente VII a opera di Sebastiano del Piombo vuole omaggiarne la statura e la memoria perpetua.
In linea con il gusto per mirabilia e Wunderkammer, nacque anche l’interesse per lastre che di per sé rivelavano un disegno: non fu strano, all’epoca, trovare nelle dimore più prestigiose superfici lapidee intatte entro grandi cornici barocche, alla stregua di dipinti.
Le venature e i sedimenti furono sfruttati poi da molti pittori come base per l’illustrazione a olio di scene sacre, paesaggi e marine “fatte dalla natura e aiutate con il pennello”. La pietra paesina, tratta dal letto dei fiumi toscani, fu la più adatta allo scopo. Questi preziosi quadri lapidei potevano essere appesi, ma spesso erano elementi da tavolo: ingegnose cornici girevoli permettevano la vista delle immagini davanti e dietro.

GLI ARTISTI DELLA PITTURA SU PIETRA

Antonio Tempesta, fine pittore e incisore sotto il pontificato di Paolo V, nell’Adorazione dei Magi sfrutta due aree tondeggianti nell’alabastro per rendere le aureole; si serve di un ovale di breccia vermiglia per la resa del Paesaggio del Mar Rosso. La medesima tecnica fu adottata, tra gli altri, da Antonio Carracci, Orazio Gentileschi, Cavalier d’Arpino, Carlo Saraceni. Mentre Alessandro Turchi, Stefano Della Bella, Hans Rottenhammer e Filippo Napoletano si avvalsero di pietre scure come lavagna e marmo nero belga per scene notturne e infernali.
Era una sfida lanciata dalla natura all’arte che s’inseriva ad hoc nell’ambito del dibattito seicentesco tra pittura e scultura.
Chiude la mostra una sezione dedicata ai grandi simulacri femminili dipinti su lavagna e su tavola da Leonardo Grazia da Pistoia. Prima di allora le scene dipinte su pietra erano solo devozionali, invece già negli Anni Trenta del Cinquecento eccovi Lucrezia, Ebe, Cleopatra.
Da ultimo un notevole monile di Jacques Stella: entro un grande cammeo con cornice in smalto e cristallo di rocca figura Il martirio di Santa Caterina d’Alessandria, dall’opera omonima di Guido Reni, dipinto a olio su lapislazzuli con finiture in oro.
Non si tratta di un semplice hapax: il gioiello racconta le credenze a proposito degli effetti taumaturgici della pietra a contatto con il corpo; il gusto delle dame spagnole, amanti di questi monili. E racconta anche della famiglia Barberini che ne commissionò moltissimi, usandoli come doni diplomatici. Fatti a Roma con marmi di scavo, spesso riproducevano spaccati della città, così da diffondere per le corti europee preziose immagini dell’Urbe.

Francesca de Paolis

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Francesca de Paolis

Francesca de Paolis

Francesca de Paolis si è laureata in Filologia Moderna con indirizzo artistico all'Università La Sapienza di Roma proseguendo con un Corso di Formazione Avanzata sulla Curatela Museale e l'Organizzazione di Eventi presso l'Istituto Europeo di Design (IED). Ha insegnato Storia…

Scopri di più