La mostra sul Cenacolo dei Romanisti al Museo di Roma in Trastevere

La vita artistica nella Capitale tra il 1929 e il 1940 è il fulcro della mostra al Museo di Roma in Trastevere. Un viaggio nel tempo alla scoperta di una pittura nostalgica verso una città che stava cambiando

Oltre trent’anni si chiamava ancora Museo del Folklore. L’interno claustrale ne tradiva l’origine monastica, un’origine comune a molti edifici storici divenuti, nel tempo, sede di istituzioni più o meno prestigiose. Era dedicato – e lo è tuttora ‒ alle tradizioni popolari romane. E anche le frequenti mostre temporanee, di tanto in tanto, contribuiscono a ravvivare, rammemorandola, quella vocazione nativa dell’attuale Museo di Roma in Trastevere.

I Romani della Cisterna

I Romani della Cisterna

LA MOSTRA SUL CENACOLO DEI ROMANISTI

È questo il caso di una delle esposizioni in corso (a cura di Roberta Perfetti e di Silvia Telmon), incentrata sull’attività – limitata al decennio 1929-1940 ‒ del Cenacolo dei Romanisti, un gruppo eterogeneo di intellettuali di varia provenienza e di artisti rinomati, accomunati dall’amore per la Città Eterna e che, nella vita culturale capitolina di quegli anni, ebbe una rilevanza di tutto rispetto. Ricordiamo qualche nome: Trilussa, Ettore Petrolini, Ugo Ojetti, Giuseppe Bottai, Antonio Muñoz, Ceccarius, Augusto Jandolo. La mostra propone un centinaio di opere tra dipinti, sculture e grafiche (oltre a documenti di vario genere, soprattutto fotografici), didascalicamente ordinate per sezioni tematiche, provenienti in gran parte dalla collezione del museo. Ci interessa, in questa sede, soffermarci, in particolare, sulla sezione titolata In Atelier, che accoglie parte degli artisti gravitanti attorno al prestigioso Cenacolo, quali, tra gli altri, Duilio Cambellotti, Orfeo Tamburi, Carlo Alberto Petrucci, Orazio Amato, Antonio Barrera.

Orfeo Tamburi, Trinità dei Monti, 1936 40, Museo di Roma

Orfeo Tamburi, Trinità dei Monti, 1936 40, Museo di Roma

ROMA E LA NOSTALGIA

Proseguiva, durante il periodo fascista, quell’opera di trasformazione dell’Urbe, avviatasi dopo il 1870 ‒ con il trasferimento della Capitale del Regno d’Italia a Roma – che fu purtroppo anche e, forse, soprattutto un’opera di demolizione e di distruzione di parte della vecchia città per dare spazio a un nuovo e più autorevole assetto urbanistico. Alla nostalgia di un mondo che si andava via via irreparabilmente frantumando sotto il rullo compressore della modernità sembra intonarsi la cifra emotiva dominante nella sezione della mostra su cui stiamo indugiando, dove prevale una pittura di paesaggio urbano trascolorato da uno sguardo sognante e malinconicamente visionario – lo leggiamo nelle linee incerte e nelle pennellate affrettate che lasciano imprecisi e impermanenti i contorni delle cose –  quasi a voler consegnare all’esiguo perimetro di una tela l’estrema, drammatica, impotente testimonianza d’amore per una Roma che andava rapidamente scomparendo.

 Luigi Capano

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Luigi Capano

Luigi Capano

Di professione ingegnere elettronico, si dedica da diversi anni all’organizzazione di eventi culturali sia presso Gallerie private che in spazi istituzionali. Suoi articoli d’arte sono apparsi su periodici informatici e cartacei: Rivista dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, Expreso…

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