I dimenticati dell’arte. Marisa Mori, l’artista che abbandonò il Futurismo
Allieva di Casorati, Marisa Mori fece parte del movimento futurista sino all’emanazione delle leggi razziali, alle quali si oppose con fermezza. Ripercorriamo la sua storia
All’interno del volume La cucina futurista (1932) scritto da Filippo Tommaso Marinetti e Fillia, decise di contribuire con la ricetta delle “mammelle italiane al sole”, con pasta di mandorle, panna montata, zabaione e fragole. Un modo di sancire la propria volontà di aderire alla corrente nella quale Marisa Mori (Firenze, 1900-1985) era entrata da poco ma con grande passione.
LA STORIA DI MARISA MORI
Maria Luisa Lurini era nata a Firenze, da Mario Lurini, impiegato presso la compagnia di assicurazioni La Fondiaria, e Edmea Bernini, figlia dell’ultimo discendente maschio dello scultore Gian Lorenzo. Nel 1918 si era trasferita a Torino con la famiglia, dove aveva cominciato ad avvicinarsi all’arte come autodidatta, incoraggiata da un amico di famiglia, lo scultore Leonardo Bistolfi. All’inizio degli Anni Venti sposò il topografo, giornalista e poeta Mario Mori, e cominciò a firmare le prime tele con il suo cognome, mentre frequentava la scuola privata diretta da Felice Casorati tra il 1925 e il 1931, per poi diventare l’assistente del pittore e iniziare a esporre in alcune mostre come l’Esposizione delle vedute di Torino a Palazzo Bricherasio nel 1926, insieme ad altre allieve dell’artista come Nella Marchesini, Daphne Maugham, Paola Levi Montalcini e Lalla Romano. Lo stile delle sue opere è molto vicino a quello del maestro, sia per temi che per scelte formali e cromatiche, che la Mori interpreta con soluzioni delicate e sensibili. Nel 1930 presentò un dipinto alla XVII Biennale di Venezia e nello stesso anno espose alla Mostra d’arte femminile dell’Istituto nazionale fascista di cultura a Torino e all’Esposizione internazionale d’arte sacra di Padova. In quello stesso periodo cominciò a frequentare alcuni pittori del secondo Futurismo come Tullio d’Albisola e i piemontesi Enrico Paulucci Delle Roncole, Fillia e Nicola Diulgheroff. Nel novembre 1931, a Chiavari, prese parte alla Mostra futurista di pittura e scultura e arti decorative con una serie di ceramiche, da lei ideate e prodotte dalla ditta Mazzotti di Albisola.
MARISA MORI E IL FUTURISMO
Abbandonato definitivamente lo stile di Casorati, Marisa abbraccia con entusiasmo il Futurismo, con un’attività espositiva molto intensa. Nel 1933 lascia Torino e ritorna a Firenze, e lo stesso anno viene invitata alla I Mostra nazionale futurista a Roma e ottiene il terzo posto al premio di pittura Golfo di La Spezia con il trittico intitolato Sintesi del golfo, ispirato agli stati d’animo con tre sottotitoli: Sintesi romantica, Sintesi militare, Sintesi gioiosa. Nella città toscana iniziò a dipingere quadri ispirati al mito futurista della radio, come La radio, Una partita di calcio per radio, Lezioni di ginnastica per radio e Radiotrasmissione di un discorso del duce. Nell’aprile del 1934 allestì la sua prima personale nello spazio Bragaglia a Roma ed espose Aeropittura I del 1934 alla XIX Biennale d’arte di Venezia nel 1934; due anni dopo portò in Laguna le opere Sintesi di campeggi balilla e Maternità, e nel 1940 Partenza dei coloni fascisti per le terre dell’Impero. Nel 1937 partecipò alla mostra Les femmes artistes d’Europe al museo Jeu de Paume di Parigi, proposta due anni dopo al Metropolitan Museum di New York. Alla fine degli Anni Trenta mise in discussione il suo rapporto con il Futurismo per il suo dissenso con l’emanazione delle leggi razziali, e in seguito ospitò Rita e Gino Levi Montalcini. Nel 1943, dopo la morte del marito, lasciò il movimento per tornare a una figurazione di matrice classica, ritrovando temi e modi di Casorati, come il ritratto, le nature morte, le maschere, i nudi. A partire dagli Anni Cinquanta condusse una vita ritirata, con rare occasioni espositive legate alla sua ultima produzione, incentrata sulle figure umane, i paesaggi e le nature morte.
Ludovico Pratesi
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