Renoir, il classicismo e l’Italia: la mostra a Rovigo
Al Palazzo Roverella di Rovigo quarantasette opere di Pierre-Auguste Renoir ‒ in prestito da musei francesi, austriaci, svizzeri, italiani, tedeschi, danesi, olandesi ‒ affiancano capolavori provenienti da musei e collezioni italiane. Una mostra di studio che analizza la “classicità” dell’artista francese
Fra i massimi esponenti dell’Impressionismo, movimento che rinnovò radicalmente l’arte del secondo Ottocento, Pierre-Auguste Renoir (Limoges, 1841 ‒ Cagnes-sur-Mer, 1919) fu però un artista che ebbe comprensione e rispetto per l’arte del passato, alla quale volle guardare quando, giunto nella fase matura della sua carriera, sentì la necessità di un ulteriore passo avanti. E lo compì guardandosi indietro, in particolare all’Italia del Cinquecento, dei vari Carpaccio, Raffaello, Tiziano, Rubens, Tiepolo, che studiò attentamente nel corso di un suo soggiorno fra il 1881 e il 1882.
A Rovigo si può visitare un’interessante mostra di studio che contestualizza il maestro impressionista sia nell’accostamento con quei pittori del passato che lo ispirarono nel corso della carriera, sia nel confronto con i contemporanei, in particolare il gruppo degli “Italiens de Paris” e con gli artisti che lo hanno seguito e che a lui si sono in parte ispirati. Una mostra “su” Renoir e “con” Renoir, per scoprirne i lati di “classicista moderno” e capire l’influenza che anche questa fase matura della sua carriera ha esercitato sull’arte europea, in un momento in cui l’ebbrezza della Belle Époque faceva pensare a un radioso avvenire nel nome della modernità e del progresso. Amare delusioni sarebbero invece seguite.
RENOIR E IL RINASCIMENTO
Da Venezia a Firenze e Palermo, passando per Roma e Napoli, Renoir trascorse quattro mesi studiando quel Rinascimento che gli era meno noto, a partire da Tiepolo e Carpaccio scoperti a Venezia, mentre Roma lo folgorò con i grandiosi affreschi di Raffaello e in Campania ammirò le pitture murali di Pompei; da questi stimoli apprese una nuova idea di sensualità, ben più carnale e insieme spirituale di quella da lui raggiunta immortalando le donne francesi. Ma della Penisola a Renoir piacque anche la luce, così mediterranea, che a suo dire vitalizzava le opere d’arte, donando loro un calore particolare. Il soggiorno in Italia lo convinse quindi a proseguire su quella strada di “riavvicinamento” all’Antico sulla quale aveva mosso i primi passi nel 1876, con Aprés le bain, dove si ritrovano richiami al plasticismo corporeo di Tiziano, ma anche del connazionale Ingres. Percorso che prosegue con La Baigneuse blonde (1882), dove alla morbidezza della forma si aggiunge una chiara e calda luce meridionale, mentre la linea è più netta e la figura ben definita. Renoir si allontanò dall’Impressionismo alla ricerca di una modernità che si ispirasse al passato, e anche Rubens (che a sua volta studiò attentamente il Rinascimento) si prestò a fare da modello, come la mostra documenta accostando la Femme s’essuyant (1912-14) e le Ninfe che incoronano la dea dell’Abbondanza (1622). Nell’accostamento ai maestri del passato e attraverso il nutrito corpus di dipinti e disegni, si può ricostruire il percorso maturo di un artista che, forse già stanco della vivacità della Belle Époque e presentendone in cuor suo la fatuità, cercò nuove motivazioni nella rassicurante (mai soverchiante) grandezza tardo-rinascimentale, che, pur in mezzo allo splendore, cominciava a comunicare un certo crepuscolarismo, a porsi domande e ad avanzare alcuni dubbi. E, forse, anche Renoir volle inconsciamente esprimere i suoi dubbi verso il positivismo imperante.
Quel suo rivalutare la lezione dei maestri rinascimentali fu una prima avvisaglia, in un certo senso, di quel “ritorno all’ordine” che caratterizzò il lavoro di molti artisti italiani del primo Novecento e del primo dopoguerra. Le atmosfere dei suoi paesaggi ritornano infatti nell’opera di Arturo Tosi, Enrico Paulucci e Carlo Carrà, dove alla sintesi della forma si affianca una vibrante pennellata che infonde luminosità alle scene.
RENOIR E GLI ITALIENS DE PARIS
Se Renoir preferì lasciare Parigi per la tranquillità della Provenza, per la maggior parte dei suoi colleghi la Ville Lumière era il centro del mondo, meta irrinunciabile per esperienze di vita (artistica ma non solo) e luogo dove indirizzare la propria carriera. Un fascino che subirono anche molti pittori italiani, Boldini, Zandomeneghi e De Nittis su tutti; questi guardarono, in particolare, alla prima fase della carriera di Renoir, quell’Impressionismo spumeggiante che sprizzava vitalità a profusione, quello, ad esempio, del Moulin de la Galette, popolarissimo ritrovo mondano per le classi meno abbienti, ma amatissimo dagli artisti. Una mondanità che si ritrova, ad esempio, in Carrozza a Versailles (1873) di Boldini; e poiché l’Impressionismo aveva nella figura femminile uno dei suoi soggetti preferiti, la mostra permette di apprezzare come la lezione francese sia stata recepita anche dagli italiani; particolarmente vibrante la Donna dalle spalle nude (1895) di Zandomeneghi, caratterizzata da caldi effetti luministici.
RENOIR ARTISTA E UOMO
La mostra rodigina offre però anche un diverso livello di lettura; oltre a documentare la fase matura di Renoir con i confronti critici proposti, racconta anche l’uomo, attraverso il mondo dei suoi affetti. Particolare tenerezza suscitano infatti i ritratti (su tela e su carta) della moglie e dei figli, che fra l’altro molto ispirarono Armando Spadini. Particolarmente intensa la sanguigna su carta Jean Renoir dans les bras de Gabrielle (1895), con la moglie che tiene in braccio colui che diventerà un apprezzato regista. Il lavoro del padre non gli fu estraneo, in particolare in Una gita in campagna (1936), del quale la mostra propone alcuni spezzoni in versione restaurata: in tali scene si può apprezzare come il figlio abbia ricreate le prospettive e le atmosfere di molti dei dipinti del genitore; una sorta di ideale “passaggio di consegne” sulla strada dell’arte in senso lato, ma anche un modo di continuare a guardare avanti senza dimenticare il passato: un passato che per Jean Renoir proveniva direttamente dal padre.
Niccolò Lucarelli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati