La Bottega Gatti di Faenza colpita dall’alluvione. Perduti i segni degli artisti del laboratorio
Balla e i futuristi prima, Burri, Matta, Accardi, Fioroni, Ontani, Paladino in tempo più recenti. Sono moltissimi gli artisti che si sono affidati alla competenza dell’impresa artigiana faentina, in quasi un secolo di storia. Acqua e fango hanno distrutto molte delle loro tracce
Il 2 maggio scorso, le forti piogge che hanno colpito l’Emilia Romagna hanno provocato l’esondazione di fiumi, frane e allagamenti in diversi territori della regione. A farne le spese in modo più drammatico è stata Faenza, colpita da un’alluvione provocata dalla rottura degli argini del fiume Lamone, che ha inondato un intero quartiere (un’area in cui vivono oltre 500 famiglie), ricoprendo di fango strade, giardini, negozi, attività commerciali e i piani bassi delle case, in un’area dove vivono circa 550 famiglie.
L’ALLUVIONE CHE HA COLPITO FAENZA
Un evento straordinario, che i faentini fanno fatica a rintracciare nella memoria se si considera l’entità dei danni che sta scontando il rione di Borgo Durbecco (mentre il centro città, a poche centinaia di metri di distanza, è rimasto indenne). Non stupisce, dunque, constatare come tutti siano stati colti di sorpresa: fatta salva un’allerta meteo dell’ultima ora, diramata dal Comune per l’aggravarsi delle condizioni meteorologiche, nessuno, nella zona, ha avuto modo di mettere in salvo oggetti, mobilio, attrezzature e macchinari aziendali, materiali conservati in capannoni e depositi situati nella zona rossa (dove si trova anche una scuola di musica no profit, allagata e pesantemente danneggiata, che ha già ricevuto oltre 40mila euro di donazioni in crowdfunding per ripartire). In via Silvio Pellico si incontra anche un capannone di proprietà della Bottega Gatti, la cui sede storica, in via Pompignoli, è fortunatamente scampata all’acqua.
LA STORIA DELLA BOTTEGA GATTI
Nella città della ceramica, il laboratorio fondato nel 1928 da Riccardo Gatti è una realtà di riferimento, dove l’artigianato incontra l’arte, ormai da quasi un secolo. Luogo di tradizione, ma anche di sperimentazione, per la produzione, la ricerca e la diffusione dell’arte ceramica, che nel tempo ha saputo accreditarsi come “fornace degli artisti”. Gatti, per primo, aprì le porte ai futuristi, ospitando Giacomo Balla, Benedetta Cappa (pittrice e moglie di Tommaso Marinetti), Gerardo Dottori. Oggi quella storia è custodita in un museo aziendale, che può contare su un prezioso archivio di materiali, ceramiche e documenti, rimasto anch’esso indenne all’alluvione. Ma l’eredità di Gatti è stata raccolta da Davide Servadei, pronipote del fondatore e prosecutore del suo operato, animato dalla stessa visione del prozio: molti sono gli artisti che negli ultimi decenni si sono rivolti a lui per collaborare, in cerca di un supporto tecnico che gli permettesse di liberare la propria espressività a confronto con il mezzo della ceramica (che proprio negli ultimi anni ha conosciuto un rinascimento artistico, proprio per merito di realtà come la Bottega Gatti, o di esperienze come quella, nelle vicina Imola, di Giampiero Bertozzi e Stefano Dal Monte Casoni, quest’ultimo recentemente scomparso).
I DANNI ALL’ARCHIVIO DELLA BOTTEGA GATTI
“Oggi ho 60 anni, da 40 lavoro con gli artisti, da Roberto Matta ad Alberto Burri, Enrico Baj, Carla Accardi, Aldo Mondino, Giosetta Fioroni, Mimmo Paladino, Luigi Ontani…”, racconta Servadei, snocciolando una lista di nomi eccellenti che potrebbe proseguire a lungo. E i segni del loro passaggio – inventari, carte, dipinti, bozzetti, progetti e libri d’artista, che sono la storia e l’identità della Bottega Gatti – quelli sì hanno scontato la furia dell’acqua e del fango che hanno invaso il capannone di via Pellico: “Il caso ha voluto che stessi risistemando il materiale in vista del centenario dell’azienda, avevo poggiato in terra bozzetti, quadri, libri, carte, in attesa di archiviarli. Tutto è finito sotto un metro e mezzo d’acqua. Il danno non è economico, ma si tratta di un valore inestimabile, perché si perde la nostra complessità, sfumano i segni del rapporto intrattenuto con tanti artisti che oggi non ci sono più”. Il rammarico, nelle parole di Servadei, è palpabile: “L’acqua ha distrutto anche la mia collezione di libri d’artista, una biblioteca importante messa insieme proprio grazie allo scambio con gli artisti passati in Bottega. Era una collezione molto speciale, con un nucleo importante sulla poesia visiva, sull’arte concettuale… Le carte lucide degli Anni Sessanta non è possibile salvarle dall’acqua, è tutto da buttare”. Buona parte dei quadri, invece, è finita dal restauratore, come pure alcune carte: “Speriamo di salvare qualcosa, anche solo una piccola parte, diciamo un decimo di questo patrimonio storico. Le ceramiche, invece, hanno resistito”.
Nel momento del bisogno, però, proprio gli artisti con cui Servadei si è sempre premurato di stabilire un rapporto di stima e supporto reciproco non sono rimasti a guardare: “Mi hanno chiamato Mimmo Paladino e Luigi Ontani, manifestandomi la loro solidarietà e la disponibilità, per quanto concerne le cose che abbiamo fatto insieme, a recuperare tracce e materiali dei loro passaggi in Bottega. Per me è un messaggio importante: qui oggi passano in molti, non ci sono più così tante realtà che professionalmente cercano di sostenere l’arte. Ora vengono giovani da mezzo mondo, molte gallerie ci mandano artisti. E io ci tengo molto a fare l’artigiano, perché contribuisco a fissare l’identità di un luogo. Ma cerco di avere anche una responsabilità morale: tra i miei doveri c’è quello di sostenere il mondo della contemporaneità”.
Livia Montagnoli
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