La maxi mostra milanese dedicata al Surrealismo

Siamo tutti surrealisti. È l’assunto da cui parte la mostra al Mudec, che raccoglie quasi duecento opere provenienti dal Museo Bojmans Van Beuningen di Rotterdam per raccontare origini e sviluppi del movimento che ha segnato le sorti dell’arte contemporanea

La “Cronologia del Surrealismo” in coda al catalogo della mostra allestita al Mudec si apre con tre avvenimenti collocabili tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento: Leonardo “scopre nuove realtà” osservando “muri imbrattati di macchie”; Arcimboldo “dipinge figure antropomorfe fatte di frutta e verdura”; Hieronymus Boschfantastiche creature ibride”. Niente di strano: l’esigenza di etichettare periodi della storia, puntellati di avvenimenti ritenuti significativi, fa parte dei consueti criteri di storicizzazione, anche manualistica.
Ci si chiede se l’arte intera non debba invece iscriversi, fino dalle prime manifestazioni a noi note, sotto il segno della surrealtà, nei suoi tentativi di esprimere i rapporti, così complessi, tra l’uomo e il mondo che lo circonda. Erano coscientemente surreali i geroglifici egiziani, così come le decorazioni degli altari in pietra Maya dell’America centrale. O le maschere rituali delle tribù indigene di ogni latitudine che, scampate ai processi di evoluzione globale del pianeta, si sono conservate nei secoli quasi identiche nelle loro forme. Fino a influenzare, attraverso le rotte del colonialismo tra fine XIX e inizio XX secolo, tutte le avanguardie storiche che sono all’origine dell’arte contemporanea. E questo vale anche per quella surrealista, unica a confrontarsi con la questione coloniale in maniera critica, nonostante i suoi principali rappresentanti, da André Breton a Man Ray, collezionassero montagne di oggetti provenienti dagli stessi flussi coloniali, includendoli nei propri lavori, traendone ispirazione, fiduciosi della loro integra capacità evocativa di mondi magici e soprannaturali. Questa è la storia narrata nell’ultima parte dell’esposizione, dove oggetti della collezione permanente del Mudec dialogano con alcune delle quasi duecento opere movimentate in massa dal Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam per raccontare la nascita, l’evoluzione e le forme assunte dall’applicazione di idee “surrealiste” nell’arte del Novecento.

Dalí, Magritte, Man Ray e il Surrealismo. Capolavori dal Museo Boijmans van Beuningen di Rotterdam, installation view, Mudec, Milano, 2023. Photo Carlotta Coppo

Dalí, Magritte, Man Ray e il Surrealismo. Capolavori dal Museo Boijmans van Beuningen di Rotterdam, installation view, Mudec, Milano, 2023. Photo Carlotta Coppo

LE ORIGINI E LE CARATTERISTICHE DEL SURREALISMO

Se la surrealtà ha sempre fatto parte del DNA dell’arte di ogni tempo, il Surrealismo come movimento prende forma concreta nella Francia dei primi Anni Venti del Novecento, sull’impronta lasciata dal dissacratorio Dada. Nasce sotto l’egida di una parola, Surrealismo appunto, coniata da un poeta, Guillaume Apollinaire, e utilizzata da un altro poeta, Breton, per richiamare ai principi ispiratori del suo Manifesto (1924) artisti e scrittori provenienti da mezza Europa, nell’ottica di promuovere un’arte che fosse “automatismo psichico allo stato puro”, con il quale “esprimere verbalmente”, o “in qualunque altro modo il funzionamento reale del pensiero”, in “assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione”, preoccupazioni estetiche o morali. E via con le associazioni libere di immagini e parole, le sedute, anche spiritiche, per evocare i regni dell’onirico e dell’irrazionale. Anche qui, nulla di nuovo, se non che questi concetti viaggiano ora sul treno dell’inconscio e del subconscio del dottor Freud, portando per tutta Europa il messaggio che i principi “razionali” che governano la società non sono che convenzioni, la punta di un iceberg da rovesciare, attraverso una rivoluzione mentale che – utopisticamente – si sarebbe trasformata in un più radicale cambiamento sociale e politico.

Dalí, Magritte, Man Ray e il Surrealismo. Capolavori dal Museo Boijmans van Beuningen di Rotterdam, installation view, Mudec, Milano, 2023. Photo Carlotta Coppo

Dalí, Magritte, Man Ray e il Surrealismo. Capolavori dal Museo Boijmans van Beuningen di Rotterdam, installation view, Mudec, Milano, 2023. Photo Carlotta Coppo

LA MOSTRA SUL SURREALISMO AL MUDEC

Una rivoluzione che attacca le idee consolidate del fare artistico da ogni lato ‒ materico, concettuale, contenutistico ‒ con l’inclusione di temi fino a questo momento considerati grandi tabù dalle società conservatrici europee tra le due guerre. Il sesso, su tutti, perno delle indagini freudiane, restituito nelle sue pulsioni più violente e contraddittorie, come nei celebri e scandalosi Un chien andalou (1929) e L’age d’or (1930), i due film frutto della collaborazione tra Louis Buñuel e Salvador Dalí, di cui in mostra si possono vedere degli spezzoni.
Bellezza, orrore, piacere e dolore, realtà e sogno: tutto collabora alla messa a nudo del nostro subconscio, senza soluzione di continuità.
Il “metodo paranoico-critico” di Dalí, espresso per esempio in Impressioni d’Africa (1938), è un amalgama di iperrealismo figliato dall’amata pittura fiamminga del Seicento e totale straniamento dovuto all’apparente casualità compositiva, per un “significato così profondo, complesso, coerente, involontario, che sfugge alla semplice analisi del pensiero logico”, anche a quello dello stesso autore. E un nodo di ipernaturalismo e dimensione onirica è alla base degli effetti ricercati nei dipinti di René Magritte (come Il modello rosso III, 1937), continua messa a nudo della labilità dei limiti tra realtà e illusione. E così nelle sculture (Oggetto non euclideo, 1932) e nelle fotografie, sempre bellissime, di Man Ray, o nei collage di Max Ernst. Nomi tutti legati indissolubilmente alle sorti rivoluzionarie dell’arte nuova del Novecento, ben al di là dell’etichetta surrealista. Come l’antesignano Marcel Duchamp, di cui è esposta, tra altre, la geniale Scatola in una valigia (1952), con la riproduzione miniaturizzata di 69 opere precedenti dell’artista. Arte compressa, riproducibile, trasportabile, con aperture così stringenti sulla nostra contemporaneità.

Stefano Bruzzese

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati