Gustav Klimt e l’avanguardia alternativa, per un’idea di arte totale
Due Klimt “italiani” sono il fulcro e il prologo della mostra del Mart che rintraccia l’influenza del grande viennese sull’arte italiana. La “decorazione” come grimaldello per un rinnovamento dei canoni
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A partire da due delle tre opere di Gustav Klimt (Baumgarten, 1862 – Vienna, 1918) custodite nelle collezioni pubbliche italiane, la mostra al Mart rintraccia l’influenza del grande artista viennese sull’arte italiana dei primi decenni del Novecento. I letteralmente contorti rapporti tra femminile e maschile di Giuditta II (1909, in prestito da Ca’ Pesaro) e le dolcemente strazianti Tre età della donna (1905, dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma) costituiscono dunque allo stesso tempo il fulcro e il prestigioso prologo di un’esposizione approfondita, che adotta un approccio multiplo.
Si affiancano e si mescolano infatti ricostruzione storica (la mostra prende spunto dalla partecipazione di Klimt alla Biennale di Venezia del 1910 e all’Esposizione internazionale di Roma del 1911), confronto stilistico/iconografico tra tendenze diversificate ma riconducibili in diversi modi all’influenza klimtiana, approfondimenti su autori notissimi e riscoperta di nomi trascurati dalla storiografia successiva.
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La mostra al Mart, dal Simbolismo alle Secessioni
Il Simbolismo è il punto di partenza (anche per Klimt stesso), trattato in una sala che affascina tra l’altro per le opere inusitate di Cesare Saccaggi e per quelle intonate allo spirito del tempo di Giulio Aristide Sartorio. E dopo l’incontro diretto con i due capolavori klimtiani si passa a due focus dai toni estetici ammalianti, che fanno subito capire come l’idea odierna di “decorativismo” non renda conto dell’avanguardismo di ricerche come quelle di autori come Vittorio Zecchin e Galileo Chini. Del primo viene esposta una selezione di dipinti ma anche di mobili e vetri, a testimonianza di un’idea “totale” di arte; nella sezione dedicata al secondo spiccano invece i monumentali pannelli per la Biennale di Venezia del 1914.
Si incontra poi la ricerca di atmosfera austroungarica e secessionista, con un approfondimento sulla perturbante arte di Luigi Bonazza (altro autore che allo sguardo odierno risulta inclassificabile e perciò sorprendente) e un momento imperdibile dedicato al “Klimt della scultura”, come venne definito Adolfo Wildt, con la sua linea tagliente per quanto sinuosa che percorre sia il disegno che la scultura.
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Gustav Klimt e l’Avanguardia alternativa
Gli echi klimtiani diventano poi paesaggio e atmosfera, acqua e luce nelle opere degli “artisti di Ca’ Pesaro” tra i quali Piero Marussig, mentre il Déco arriva a influenzare anche le scuole regionali, affrontate nell’ultima sala. Percorrendo il metodico percorso tematico dell’esposizione, ci si imbatte in diversi altri momenti “illuminanti”: l’incontro con il sorprendente Felice Casorati del periodo veronese tra il 1911 e il 1915, oppure dipinti completamente fuori dagli schemi anche sul piano tecnico come il Laghetto di Peyloubere (1926) di Mario Cavaglieri (che accompagna una selezione delle sue più note, “pastose” nature morte), oltre a una selezione di disegni su carta dello stesso Klimt.
In fondo, come sottolinea la curatrice Beatrice Avanzi, uno dei punti di interesse della mostra è quello di delineare partendo da Klimt un percorso alternativo a quello che normalmente si associa oggi all’avanguardia. Non solo l’essenzialità e l’approccio analitico, ma anche l’eloquenza, la decorazione e lo “sbuffo” costituirono nel primo Novecento una strada di innovazione dei canoni, non esente dall’idea di arte totale.
Stefano Castelli
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