Lo spiritualismo nell’arte del Novecento. Da Kandinskij a Beuys
Thought-Forms è il titolo del libro che porta a riflettere su come forme e colori siano in grado di generare determinati stati emotivi. Uno spunto per leggere l’arte del XX secolo all’insegna dello spiritualismo
Credo che pochi, o forse pochissimi, conoscano il libretto teosofico intitolato Thought-Forms, intraducibile dittico che potremmo rendere con Forme-Pensiero, se l’italiano non facesse pensare a un intellettualismo qui del tutto assente.
Invece, dovrebbe essere meglio studiato, e preso in seria considerazione, forse non tanto in ragione dell’autrice, la teosofa Annie Besant, quanto delle illustrazioni, realizzate da un certo C.W. Leadbeater, e della data, il 1905. Già, perché se la teoria delle forme come prodotto del pensiero e l’idea dei colori come catalizzatori di energia era piuttosto comune negli ambienti teosofici e spiritualisti di fine Ottocento e inizio Novecento, le figure che illustrano il libro hanno un valore straordinario, in quanto rappresentano forme mentali del tutto astratte. Questo dato, come si può ben capire, è strategico: se le figure, come quella che ho ripreso e tante altre, anticipano l’astrattismo artistico “classico” (da Kandinskij, naturalmente, fino a Rothko) è anche inevitabile retrodatare la nascita di quest’ultimo (solitamente ammessa al 1910), almeno all’altezza di questo testo.
Forme, colori e stati emotivi
Ma queste sono disquisizioni su cui gli storici dell’arte già da tempo si stanno confrontando, e che in fondo spostano la questione solo da un punto di vista cronologico. Ben diversamente stanno le cose se entriamo nel merito del libro e del suo messaggio. Ciò che la Besant sostiene, infatti, è che gli stati emotivi, e in genere gli eventi – in un senso più lato – spirituali, possono essere visualizzati tramite l’impiego di particolari elementi formali, i cui colori hanno ognuno un preciso significato psicologico.
Anche se questa tesi era già alla sua epoca ampiamente risaputa, meno prevedibile è il suo inverso: se ogni stato emotivo si esprime in una thought-form, allora alcune forme, e colori, sono in grado di generare determinati stati emotivi. Se accettiamo fino in fondo questo assunto, ne consegue che alcune opere d’arte (visiva, ma anche musicale, o di altro genere) avrebbero vere e proprie capacità taumaturgiche, cosa che del resto lo spiritualismo e lo sciamanesimo (intesi in ogni accezione possibile) ben sapevano, esprimendosi appunto in particolari suoni, forme, accostamenti cromatici, e in esperienze di visione del tutto particolari.
Lo spiritualismo nell’arte del Novecento
Se si osserva l’avventura artistica da questa angolazione, succedono cose strane. Vien quasi da pensare che, anche solo considerando l’arte moderna, lo spiritualismo, invece di costituire un episodio marginale, sarebbe la chiave, preziosa e smarrita, che ne apre le porte. Se l’interesse spirituale era al centro della riflessione di Kandinskij (Lo spirituale nell’arte è del 1912), come non pensare all’automatismo surrealista, o all’esoterismo che spesso riemerge in movimenti quali il Dadaismo e lo stesso Futurismo? Per tacere degli interessi spiritualisti di un František Kupka, amico dei fratelli Duchamp, rappresentante supremo di quello che Apollinaire battezzò col neologismo di “cubismo orfico”. Chi si immagina che questa dimensione si sia esaurita a inizio secolo si sbaglia di molto. Come non mettere nella stessa linea anche l’interesse verso l’immateriale di Yves Klein, le citazioni di Jung del suo sodale e rivale Piero Manzoni, fino all’aperta ripresa dello sciamanesimo da parte di Joseph Beuys, alle liturgie auree delle performance di James Lee Byars, per arrivare alle simbologie misteriosofiche di Matthew Barney e della sua ex-consorte Biörk? Anche all’ultima Design Week milanese molte installazioni e opere ammiccavano a questo fenomeno. Però, più che un ritorno dello “spirituale”, si tratta di un vero e proprio riconoscimento di un altro modo di intendere l’arte – non più come un’espressione individuale, ma come dono divino.
Marco Senaldi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #72
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