Giulio Romano “maestro” di Rubens. La mostra a Mantova 

Da Rubens a Giulio Romano, fino a Raffaello. Una mostra racconta la storia dell'artista di Anversa affascinato dalla lezione dei maestri italiani

Che Pieter Paul Rubens avesse soggiornato in diverse occasioni a Mantova a partire dal 1600 era risaputo, tanto quanto che nella capitale dei Gonzaga lasciò la pala della Santissima Trinità (la si può visitare nell’appartamento di Vincenzo I Gonzaga a palazzo Ducale). Quel che però non era mai stato messo a fuoco mediante un confronto diretto e puntuale è il ruolo dell’arte di Giulio Romano nella formazione del pittore di Anversa: alla lacuna pone ora rimedio la mostra allestita a palazzo Te, luogo dove si esprime con maggior potenza lo stile monumentale del più celebre allievo di Raffaello. Collocati a pochi metri di distanza dagli affreschi originali, nei dipinti e nei bozzetti di Rubens risuonano forti gli echi delle celebri scene tratte perlopiù dalla mitologia – gli amori degli dei, le imprese di Ercole, le narrazioni dell’Odissea e dell’Iliade – e che nella resa stilistica attingevano a larghe mani dalla statuaria antica, come aveva già dimostrato un precedente progetto organizzato dalla Fondazione Palazzo Te e dedicato alla figura di Venere. 

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Rubens e la rivelazione di Giulio Romano 

Per il coltissimo fiammingo – che mentre dipingeva declamava a memoria i versi dei poemi greci e romani, come ci racconta la curatrice Raffaella Morselli – l’incontro con “l’immaginifica popolazione di divinità e di testi antichi inventati e citati da Giulio Romano” scrive la stessa Morselli in catalogo, fu un’autentica rivelazione. Insomma, Mantova era il luogo perfetto per immergersi nei sogni antichi, e tutto si riflesse nelle sue opere: talvolta le citazioni sono esplicite, in altri casi fanno capolino dettagli rielaborati e fatti propri. Solo per fare pochi esempi, una silhouette di Psiche di Giulio Romano torna nelle Tre Grazie del fiammingo, il mantovano Banchetto degli dei è citato nel Festino di Acheloo, il San Michele espelle Lucifero guarda all’affresco con la Caduta di Fetonte (mentre la figura dell’arcangelo si riferisce al Giove della Sala dei Giganti). Nel percorso tra le sale del palazzo gonzaghesco, già di per sé travolgente, si approfondiscono anche altri temi, come l’interpretazione che Rubens fece della natura dopo l’incontro con l’arte italiana, le ricerche sulla prospettiva rinascimentale e la sua considerazione della storia romana come lezione morale anticipatrice del Cristianesimo. 

I tre plus della mostra e la scoperta di Jacob Jordaens 

Al di là della qualità indiscussa delle grandi tele di Rubens confluite nel progetto espositivo, alcuni altri aspetti che meritano una sottolineatura. In primis la sorprendente vicenda di alcuni disegni di Giulio Romano: si sa che Rubens ne acquistò svariati e che – sorpresa! – li rimaneggiò a fini di studio, aggiungendo ombre, volumetrie, ricalcandoli e quindi tramutandoli in opere fondamentalmente barocche. Una pratica che oggi ci lascia allibiti, ma che allora era evidentemente comune. Deliziosi, inoltre, alcuni bozzetti in piccolo formato del pittore di Anversa, che per loro natura consentono all’idea di farsi rapidamente immagine. In questi oli su tela si ammorbidisce certa pomposità inevitabile nelle grandi tele di Rubens e la superficie pittorica più sintetica lascia addirittura trasparire le venature del legno, con un effetto forse non voluto, ma certo magnifico. Infine, la mostra dà modo di conoscere Jacob Jordaens: fu allievo di Rubens, non riuscì mai a fare un viaggio in Italia come il suo maestro, ma elaborò uno stile debitore per via indiretta del Rinascimento e del Manierismo da Raffaello a Giulio Romano, tanto da riprodurre sul soffitto della sala dove riceveva gli ospiti la favola di Amore e Psiche. E gli esiti sono senz’altro degni di nota. 
Tutto magnifico? Quasi. Le didascalie e i pannelli didattici sono illeggibili per colpa di un’illuminazione non proprio azzeccata, che crea dei fastidiosissimi riflessi e costringe i visitatori ad pose acrobatiche per poter leggere i testi (essenziali per la comprensione del progetto). Idem per le lastre di rami incise esposte nella Sala dei Cavalli. Da palazzo Te assicurano di essere al lavoro per risolvere il problema. 

Marta Santacatterina 

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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