Una grande mostra su Giovan Battista Moroni a Milano 

La più grande mostra mai realizzata sul pittore di Albino (e sul Cinquecento lombardo) arriva alle Gallerie d’Italia di Milano, riunendo tutti i suoi maggiori capolavori. Dal Sarto al Cavaliere in rosa

Nelle parole degli storici dell’arte del Novecento, le “Strade di Lombardia” sono vocabolo noto. Si tratta di quelle strade che – tra ‘400 e ‘500 – connettevano Milano e le altre cittadelle dei dintorni. Bergamo e Brescia incluse. La citazione proviene dalla monografia su Caravaggio del grande storico dell’arte Roberto Longhi; il quale, nel raccontare la giovinezza dell’artista, le identificò come probabili tracciati del suo percorso di formazione. Pittori come Lorenzo Lotto, Moretto, Savoldo e Giovan Battista Moroni (antecedenti di un secolo al Merisi), vennero identificati come fonte del naturalismo proprio del primo stile caravaggesco. Una riscoperta, la loro, che li fece uscire dall’oblio (non meritato) che li aveva avvolti per secoli. Tra tutti, però, particolarmente sfortunato in termini di notorietà fu l’ultimo citato, Moroni (Albino, 1520 circa – 1578 circa). Neppure menzionato da Giorgio Vasari, riemerse gradualmente solo dall’Ottocento. Nel secolo scorso, alcuni sforzi espositivi, come quello di Mina Gregori del 1979, contribuirono a ristabilirne la dovuta fama. Ma gli effetti si ottennero più all’estero che in Italia. Fino ad oggi, il pregio dei ritratti documentaristici del pittore è stata consapevolezza soprattutto del pubblico straniero. Ora, però le Gallerie d’Italia di Milano gli offrono un’occasione di riscatto, con una grande mostra che ne ripercorre tutta la storia. Più di cento opere, tra cui il Sarto, senza il quale – ricordando ancora le parole di Longhi – Caravaggio non avrebbe mai potuto dipingere il suo oste.  

Giovan Battista Moroni, Ultima cena, 1566-69
Giovan Battista Moroni, Ultima cena, 1566-69

I pittori del Rinascimento Lombardo tra Bergamo e Brescia  

Prima di parlare del protagonista, è opportuno contestualizzare l’ambiente artistico e cittadino che lo coinvolse. D’altro canto, è la mostra milanese stessa ad ampliare lo sguardo, illuminando quelli che furono i maestri e i colleghi di Giovan Battista Moroni, e la terra comune che li vide operare. Si parla di Bergamo e Brescia – le due città lombarde che hanno appena concluso il loro anno di Capitale della Cultura. Questa esposizione è uno degli atti di chiusura: un’eredità per il 2024 cominciato, che ne celebra i grandi maestri del Cinquecento.  

I dintorni di Albino: città di Giovan Battista Moroni 

Per capire il contesto, non si può che ripercorrere le strade longhiane, fino ad Albino, cittadina d’origine di Moroni. I paesaggi dalle colline verdi e boscose raffigurati in mostra – il riferimento è alle grandi pale di Lotto e Moretto – illustrano bene la scena. Ai tempi, l’area vantava una fiorente attività artistica, che diede modo al giovane pittore di fare esperienza. Nella psicologia animata di alcuni suoi ritratti, si ritroverà la mano di Lorenzo Lotto, o di Savoldo, entrambi attivi nei dintorni di Bergamo. Ma è a Brescia, nella bottega di Moretto per la precisione, che Moroni assorbì più materia. La grandiosa macchina d’altare con il San Nicola di Bari (Pala Rovelli, 1539), dai tessuti setosi da parer liquidi, fu riprodotta con buona somiglianza dall’allievo, come si può osservare in una tela vicina in esposizione. Se le opere sacre, però, erano la specialità di Moretto, non lo erano altrettanto per Moroni. Il meglio del pittore di Albino si trova nei i ritratti. E la mostra, in questo suo ricostruire l’ambiente produttivo che lo circondava, “vuole rendergli ciò che gli spetta, in quanto certo non perde nulla in questo contesto”. Sono le parole del curatore Arturo Galansino ad affermarlo. 

Moroni apprendista di Moretto a Brescia 

Il rapporto eterno tra maestro e allievo si evince lungo tutto il percorso, ma è particolarmente evidente all’inizio. Moretto fu per Moroni molto più di un semplice insegnante: fu maestro di vita, seconda figura paterna nella sua permanenza bresciana. I disegni in mostra, accanto alle tele morettiane, sono quelli del giovane apprendista, che attorno agli Anni Quaranta del Cinquecento riempì interi taccuini di schizzi e bozzetti.  

Alessandro Bonvicino detto il Moretto, La caduta di San Paolo, 1540-41. Photo Mauro Ranzani
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, La caduta di San Paolo, 1540-41. Photo Mauro Ranzani

Il Concilio di Trento, e il naturalismo di Moroni in mostra a Milano 

Terminato il periodo di formazione, una tappa importante per Moroni fu Trento. Erano i tempi del Concilio, cominciato nel 1545, che portò nella Chiesa del tempo grandi cambiamenti. A partire dai dettami iconografici e di rappresentazione delle vicende sacre. Secondo le nuove richieste del clero, ci doveva essere corrispondenza tra storia, vicende sacre e immagini. La risposta del pittore di Albino fu il naturalismo, ampiamente assorbito nella sua giovinezza lombarda. Di più: Moroni seppe distinguersi dai coevi per una fedeltà estrema al dato reale. I suoi ritratti vengono definiti a motivo “documentaristici”: nulla sfuggiva dei volti al suo pennello. Neppure i difetti. Inclinazione in linea con le indicazioni espresse a Trento dal Cardinale Paleotti, che pretendeva piena adesione al vero per le figure profane. E fu probabilmente questo, uno dei motivi responsabili della crescente fama dell’artista presso il pubblico di committenti che desideravano il proprio ritratto. Il suo stile naturale si impose come alternativa al “ritratto di stato” di stampo tizianesco. 

Giovan Battista Moroni, Ritratto di Antonio Navagero, 1550 ca. Courtesy Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid
Giovan Battista Moroni, Ritratto di Antonio Navagero, 1550 ca. Courtesy Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid

I ritratti di Giovan Battista Moroni in mostra a Milano 

Ai tempi, Moroni fu il primo artista a rendere la ritrattistica centrale del suo lavoro. Sulle 227 opere ad oggi a lui attribuite, i ritratti sono oltre centotrenta. Cifra considerevole, che si somma alle innovazioni da lui introdotte, e alla vastità delle classi sociali immortalate dalla sua mano.  

Le novità e i caratteri della ritrattistica di Giovan Battista Moroni 

A cosa si deve, dunque, questa fama di novità introdotte dal pittore di Albino? La rassegna espositiva, nel suo accostare e mettere in dialogo le effigi di vari autori, permette di cogliere a pieno le parole che seguono.  
Moroni è innovativo prima di tutto nella rottura degli schemi di idealizzazione. Oltre alla già citata rappresentazione delle imperfezioni, le espressioni dei soggetti trasmettono la psicologia della persona, continuando una pratica già anticipata da Lorenzo Lotto.  
Un altro aspetto nuovo, maturato da Moroni nel corso degli anni (comparando il Ritratto di Isotta Brembati e quelli dei Coniugi Spini si nota la differenza) è lo sfondo. Da contestualizzato, magari con dettagli di rovine o citazioni colte volte a conferire prestigio al ritrattato, diventa neutro. Grigio – più o meno scuro – con un “taglio di luce dall’alto”. Scelta, l’ennesima, che troverà la simpatia di Caravaggio. Ultimo dettaglio ricorrente è la cosiddetta “sedia Savonarola”, su cui si vedono assisi molti dei soggetti. Questo bastò a rendere Moroni una sorta di fotografo ottocentesco ante litteram: al pari di coloro che accoglievano nel loro atelier i clienti da immortalare. A ricordarne questo merito sarà lo scrittore vittoriano George Eliot

L’alta società di Bergamo e Brescia ritratta da Giovan Battista Moroni 

Sommando i ritratti eseguiti attraverso gli anni da Moroni, si costruisce una panoramica approfondita della società di Bergamo, Brescia e dintorni, nel pieno Cinquecento. Di più: se ne possono identificare le diverse classi sociali, e il passaggio di moda – dallo stile veneziano, alle tendenze “alla spagnola”. Caratterizzate, queste ultime, dall’abbondare del nero e dal tipico abbinamento di farsetto, colletto “a lattuga”, e calzoni a sbuffo. 
Merita di essere citato prima di tutto il ritratto a figura intera di Isotta Brembati, proveniente dall’Accademia Carrara. Il suo prestigio di poetessa e colta letterata – organizzò in vita popolari salotti di intellettuali nella sua casa – spicca nella ricchezza dell’abbigliamento, di foggia damascata, ancora dal sapore veneziano. Per non parlare di ciò che regge in mano: un ventaglio piumato, dal lussuoso manico d’oro. Simbolo di esclusività, che poche si potevano permettere allora. E non è da meno il suo secondo marito: il nobile Gian Gerolamo Grumelli, meglio noto come il Cavaliere in Rosa per via del ritratto in questione. Entrambe le opere furono eseguite in occasione del matrimonio tra i due, e si trovano oggi a Palazzo Moroni, a Bergamo. L’analisi del dipinto permette di cogliere non poco sulla storia dell’effigiato. Lo si vede abbigliato alla spagnola – al passo con i tempi – con farsetto e calzoni “alla castigliana”, che si allungano fino alle ginocchia, dove incontrano le calze strette con una giarrettiera preziosa. Tutto il completo è di uno sgargiante rosa corallo, che esalta la figura intera del giovane, raffigurato in modo naturale – ma al contempo ufficiale e tizianesco nel modo di posare con spada e berretto in mano.  

Giovan Battista Moroni, Ritratto di Gian Girolamo Grumelli (Il cavaliere in rosa), 1560. Foto Studio Da Re © 2021 FAI- Fondo per l’Ambiente Italiano
Giovan Battista Moroni, Ritratto di Gian Girolamo Grumelli (Il cavaliere in rosa), 1560. Foto Studio Da Re © 2021 FAI- Fondo per l’Ambiente Italiano

Il Sarto di Giovan Battista Moroni in mostra alle Gallerie d’Italia 

L’ultimo dipinto che non può mancare di essere citato è quello del Sarto. Sarto, che in verità proprio tale non è. A essere corretti, si tratterebbe di un venditore di pannine di lana: tipo di stoffa pregiata, oggetto di fiorente attività economica nella Bergamo di allora. Lo si vede infatti nell’atto di tagliare il tessuto con grandi forbici da lavoro; pare interrompere il servizio di un qualche cliente, per soddisfare la posa richiesta dall’artista. Il valore di questo ritratto – responsabile della sua fama internazionale – è innanzitutto nell’abilità di Moroni di cogliere l’uomo nel pieno del movimento. C’è poi la naturalezza del gesto, del volto con un poco di barba, dell’abbigliamento di tutti i giorni. Per concludere con lo sfondo neutro e grigio, illuminato dall’alto, che concentra l’attenzione sul protagonista. L’esempio supremo del valore e della lungimiranza di Giovan Battista Moroni. Un pittore già moderno, seppur confinato nella provincia lombarda del Cinquecento. 

Emma Sedini 



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Emma Sedini

Emma Sedini

Etrusca e milanese d'origine in parti uguali, vive e lavora tra Milano e Perugia. È laureata in economia e management per arte, cultura e comunicazione all'Università Bocconi, e lì frequenta tutt'ora il MS in Art Management. Nel frattempo, lavora in…

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