All’Accademia Carrara di Bergamo il rapporto d’arte tra la città lombarda e il Viceregno di Napoli
Lo straordinario (e poco noto) legame tra il territorio bergamasco e la pittura napoletana del Seicento emerge in una mostra di studio e riscoperta. Tra restauri e nuove attribuzioni
Pensando a Bergamo, capita raramente che la prima associazione a venire in mente sia la città di Napoli. Eppure è proprio questo speciale (e poco noto) rapporto tra la città lombarda e la pittura napoletana del Seicento a finire al centro della prima grande mostra del 2024 della bergamasca Accademia Carrara, da pochi mesi sotto la direzione di Martina Bagnoli. L’ambiziosa esposizione Napoli a Bergamo. Uno sguardo sul ’600 nella collezione De Vito e in città prende quindi le mosse da un legame solo apparentemente insolito, che portò al nord diversi grandi artisti meridionali del XVII secolo con la mediazione della Serenissima e dei suoi mercanti, che commerciavano col Viceregno e famosamente ne apprezzavano l’arte.
Il Seicento napoletano a Bergamo
La studiata esposizione è curata da Elena Fumagalli con Nadia Bastogi, direttrice della Fondazione Giuseppe e Margaret De Vito di Vaglia (fuori Firenze), con cui l’Accademia ha proficuamente collaborato per offrire al pubblico uno sguardo il più ampio possibile sul Seicento partenopeo. La fondazione, voluta dall’omonimo studioso e collezionista e presieduta da Giancarlo Lo Schiavo, ha prestato 22 dipinti – dei 40 in mostra – dalla propria raccolta napoletana, con opere da Battistello Caracciolo a Jusepe de Ribera (intenso il Sant’Antonio Abate), da Massimo Stanzione a Bernardo Cavallino e Mattia Preti (straordinaria la sua, pre-barocca, Deposizione di Cristo dalla croce).
Gli altri venti dipinti, che compongono la seconda metà del percorso, sono stati invece reperiti dal territorio cittadino e orobico: “Questa è una mostra di studio e di restituzione, perché sono stati fatti tanti restauri da opere scoperte sul territorio e nei depositi”, spiega la direttrice Bagnoli. “Ed è anche una mostra di rivelazione: dalle diverse sezioni emerge la bellezza della pittura napoletana, dall’eredità caravaggesca al primo barocco, e del suo speciale rapporto con Bergamo. Questa non è una mostra già vista, ma con materiali nuovi e nuove scoperte”. Da divulgarsi, naturalmente, con un public program di lezioni e una puntata di scambio che porterà Bergamo a Napoli.
Il “nuovo” Luca Giordano e Nicola Malinconico in mostra a Bergamo
Un posto particolarmente importante in mostra, e a cui è dedicato il grosso della seconda e ultima sezione del percorso, l’ha Luca Giordano. Oltre alla proiezione che omaggia il suo Passaggio del Mar Rosso, posto nella basilica cittadina di Santa Maria Maggiore (e del quale qui si vedono dettagli quasi invisibili nella sua sede), sono esposte quattro grandi tele del maestro provenienti dalla chiesa di Sant’Evasio di Pedrengo, nel bergamasco, che testimoniano la potenza della sua fase “riberesca” e un inedito giovanile di nuova attribuzione proveniente dai depositi della Carrara, L’incoronazione di spine, finora considerato una copia. Infine, accostato a Giordano, c’è il suo allievo, Nicola Malinconico, a cui il maestro affidò negli Anni Novanta del Seicento la decorazione della navata centrale della stessa Santa Maria Maggiore (di cui in mostra ci sono gli studi da Brera, attribuibili però alla Bottega di Giordano), oltre alla pala principale per il Duomo. Anche qui, è inedita l’attribuzione a Malinconico della (luminosissima) tela dalla chiesa di Stezzano e (forse) al fratello di quella dalla chiesa di Nese (Alzano Lombardo).
“Con questa mostra vogliamo aprire al pubblico e agli specialisti un capitolo poco esplorato della storia di Bergamo, quella della relazione con Napoli”, racconta la curatrice Fumagalli. “Dagli anni Ottanta si iniziò a far emergere questa presenza di opere sul territorio, ma l’argomento non è più stato approfondito. Ci è sembrato importante riportare all’attenzione del pubblico un tema che sembra lontano e invece è molto vicino alla città e al territorio. Con lo studio, i restauri e le scoperte siamo riusciti a fornire uno “sguardo” (da cui il sottotitolo) ben più ampio del periodo inizialmente osservato, che finisce per coprire l’intero Seicento”.
Giulia Giaume
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