“C’è la mano di Caravaggio in quel dipinto”. Parla il restauratore dell’opera
Dal confronto con le altre opere del Merisi, pare proprio che ci sia lui dietro all’angelo della Deposizione di Cristo della Chiesa di San Giorgio a Bernate, attribuita a Simone Peterzano e bottega. Una scoperta che fa luce sull’oscura giovinezza di Caravaggio
Il crescente interesse degli studiosi sulla Deposizione di Simone Peterzano, mi spinge ad evidenziare alcuni punti fermi che riguardano il concorso di Caravaggio nella realizzazione dell’angelo di Bernate Ticino. Al momento, come è noto, non esiste alcun documento o contratto di commissione dell’opera né una data certa di esecuzione della medesima. Questo studio si basa essenzialmente sul primo documento che è la pittura, come sosteneva Roberto Longhi. Avendo avuto il privilegio di lavorarci per quasi un anno, ho visto l’opera con occhi “puliti” per potere affermare quanto è oggettivamente visibile e concreto ad un “occhio addestrato a saper vedere”, soprattutto senza pregiudizio. Purtroppo, oggi, la tendenza è quella di cercare con angoscia documenti archivistici (come sosteneva Giovanni Romano), perché non si è più addestrati alla visione dal vero dell’opera. In questi anni si è cercato il Caravaggio in opere dove era palese la sua totale assenza e gli esempi sono tantissimi.
La Deposizione di Cristo della Chiesa di San Giorgio a Bernate
“L’opera rappresenta Cristo morto, sorretto da un angelo, con la Madonna e il committente. Sul sarcofago il ‘MORS EIVS VITA N(OST)RA’ suona quasi come una dichiarazione di poetica. Si inserisce senza difficoltà nel profilo di Simone Peterzano negli Anni Ottanta, forse non lontano dal 1584, l’anno in cui Michelangelo Merisi cominciava ad andare a bottega da lui”.
Cosi descrivono e contestualizzano La Deposizione di Bernate gli storici dell’arte: Giovanni Agosti, Jacopo Stoppa e Marco Tanzi nel volumetto Francesco de Tatti e altre storie (Ed. Officina libraria, 2011). I tre studiosi hanno rintracciato al Castello Sforzesco di Milano tre prove grafiche di Peterzano, a matita nera e gessetto bianco, connesse a questa pala: un primo pensiero per il gruppo dell’angelo e del Cristo, un modello quadrettato per la Madonna e uno studio, quasi definitivo, per la testa di questa stessa figura.
La Deposizione di Cristo, inedita fino al 2011, è stata commissionata tra il 1584 e il 1585 e realizzata durante l’apprendistato del Merisi, all’epoca tredicenne, a bottega dal Peterzano (dal 1584 al 1588). Lo dimostrano gli studi preparatori della Pala: Studio per un angelo (F. Rossi, G. Bora, G. Agosti), Madonna addolorata, Studio del volto di Maria, datati 1585.
La mano di Caravaggio nella Deposizione di Bernate
In quest’opera, non c’è solo la mano del Peterzano, certamente autore del Cristo morto e del ritratto di don Desiderio Tirone, committente dell’opera. Si noti, infatti, la dipendenza di tocco pittorico del suo Autoritratto del 1599.
L’angelo, che sorregge pietosamente la figura del Cristo, è invece dipinto da un giovane allievo che mostra una tecnica pittorica a tratti “dura e incerta”, evidente in particolare nella realizzazione del viso dell’angelo se confrontato, appunto, con quello di Cristo, eseguito, invece, con una pennellata più morbida e sfumata. Tuttavia la resa del movimento e la sensibilità al colore straordinariamente aggraziate rimarcano la differenza della figura rispetto agli altri personaggi dell’opera.
La storica dell’arte Paola Caretta nel 2009, prima della scoperta della Deposizione di Bernate nel 2011, cosi descrive questo studio: “la testa di quest’angelo in questo disegno può essere confrontata con alcune figure caravaggesche, come ad esempio in uno dei Musici del MET di New York e nell’Orazione di Cristo nell’orto di Berlino. La posa e la fisiognomica della figura possono invece avvicinarsi al San Francesco in estasi di Hartford”.
Ma è chiaro ora che questo studio è un bozzetto preparatorio dell’opera di Bernate. La spalla nuda dell’angelo confermerebbe che è stato disegnato prima e non dopo la realizzazione dell’opera, che presenta l’angelo con la spalla coperta.
La questione dei disegni attribuiti a Caravaggio
Riferito ancora a questo studio di angelo, il 12 luglio 2012 su Artribune usciva la clamorosa notizia dei cento disegni attribuiti al Caravaggio. Maurizio Calvesi accettò di affidare ad Artribune alcune lucide riflessioni sugli episodi che hanno caratterizzato l’attribuzione a Caravaggio del corpus di disegni del Castello Sforzesco. Cosi Calvesi si esprime: “Conosco benissimo, fin dal 1949, il cospicuo gruppo di disegni del Castello Sforzesco attribuiti al Peterzano. Personalmente sono stato il solo a proporre con estrema cautela l’identificazione di uno dei disegni del gruppo del Castello Sforzesco con la mano del Caravaggio: si tratta di una figura di Angelo che ho pubblicato recentemente e che è quasi identica come iconografia e anche come forma alla figura dell’Angelo che sorregge San Francesco, nell’Estasi del santo stesso, dipinto conservato ad Hartford. Pertanto è senz’altro da escludere l’attendibilità delle loro attribuzioni, pur lasciando aperta la possibilità che tra queste centinaia e centinaia di disegni ve ne sia qualcuno eseguito dal giovane Caravaggio, ma che sarebbe tuttavia estremamente difficile riconoscere basandosi sui criteri che sono propri della storia dell’arte e cioè sull’osservazione dello stile, stile iniziale di Caravaggio che peraltro non conosciamo. I disegni proposti dai due principianti non sono assolutamente accettabili e alcuni sono di segno trascurato e mediocre, altri appartengono sicuramente ad una diversa e più tarda cultura come la già citata testa di Seneca e come il volto femminile che viene irresponsabilmente avvicinato al Cristo della Cena”.
Il confronto con le altre opere di Caravaggio
L’angelo a cui si riferisce Calvesi è proprio il “nostro”, ma lo studioso non era ancora al corrente della scoperta bernatese, dato che l’opera venne resa nota dopo il mio restauro del 2012. Inoltre la Pala Odescalchi presenta moltissimi elementi tecnici e materici comuni con la nostra opera. Caravaggio, lavorando sull’opera bernatese, ha acquisito delle competenze tecniche sulla lavorazione e preparazione dei supporti lignei che metterà in pratica a Roma nella realizzazione delle opere per la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo. Si confrontino inoltre la Deposizione di Caravaggio del 1602-1604 (fig. 13) e quella di Bernate: si noti la disposizione a spigolo vivo verso lo spettatore della Pietra dell’Unzione, ovvero la pietra del Sepolcro. Caravaggio ha 31 anni ed è nel pieno della maturità, ma in questo elemento sembra ricordare pienamente la pala di Bernate, che nella disposizione compositiva della pietra rievoca il Salmo 118, dove si legge: “la pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo”.
L’attribuzione a Caravaggio dell’angelo di Bernate
Gerard Maurice-Dugay – collaboratore scientifico per oltre quindici anni di Denis Mahon, professore emerito alla Sorbona che insegnò Storia dell’Arte Rinascimentale e del Seicento all’Ecole du Louvre di Parigi, all’Accademia di Belle Arti di Venezia e alla Sapienza di Roma – è il sostenitore più convinto della mia scoperta e afferma senza alcun dubbio: “C’è la luce di Caravaggio nell’angelo che regge il corpo di Cristo”.
Queste le mie conclusioni: il giovane Caravaggio doveva avere un’età di 16 o 17 anni quando dipinse quest’angelo. Esaminando tutta l’opera pittorica di Peterzano, si evidenzia che altri angeli della sua bottega non arrivano mai a questo livello di qualità pittorica, come invece è l’angelo di Bernate. Per l’impostazione del disegno dell’angelo, il giovane Caravaggio avrebbe fatto uso di un cartone di Peterzano, una figura raffigurata sulla controfacciata di San Maurizio al Monastero Maggiore, La cacciata dei mercanti dal Tempio. Non si può escludere tuttavia che vi possa essere stato un intervento diretto sul disegno dell’angelo da parte del Maestro (come sostiene Claudia Renzi), ma la stesura pittorica è opera del giovane Merisi. Nel 1585, da documenti d’archivio, risulta che la chiesa di San Giorgio era in ristrutturazione sotto la direzione dell’architetto Martino Bassi. È molto improbabile, si intuisce, che l’opera fosse già stata realizzata per quella data. L’angelo di quest’opera costituisce il germe luminoso e cromatico, che si perfezionerà nelle opere giovanili del Caravaggio. Roberto Longhi nel 1916 scrive: “Caravaggio primitivo dai colori dolci, chiari ed aperti, di toni preziosi e quasi smaltati sotto correnti di ombre lucide diafane e leggere”.
Carmelo Lo Sardo
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