La struggente storia d’amore della scultrice Camille Claudel
Un talento innato per la scultura, consumatosi troppo presto per un amore impossibile. Questa è la storia della scultrice francese Camille Claudel
Sorella del celebre scrittore francese Paul Claudel, Camille figura tra quei nomi femminili della storia dell’arte vittime di un’epoca incapace di accettarne il talento. Dopo un brevissimo esordio promettente, la sua carriera fu brutalmente stroncata da coloro che avrebbero dovuto amarla e sostenerla. Sua madre prima – che fu invece sempre contraria alla sua passione scultorea – e il suo maestro poi. Maestro che la sedusse e la amò, ma la sfruttò anche, fino a esaurirne la linfa artistica e vitale.
È una storia, quella di Camille Claudel e del grande Auguste Rodin, rimasta per anni sepolta nell’oblio. Finché, per caso, uno studioso di letteratura interessato ad approfondire la vita del fratello Paul scoprì l’esistenza tragica e appassionata di questa sua sorella scultrice.
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Il genio precoce della scultrice Camille Claudel
Camille Claudel (Fère-en-Tardenois, 1863 – Montfavet, 1943) nacque in un piccolo paese nel cuore delle brughiere del Nord della Francia. Di famiglia agiata, passò un’infanzia serena, giocando e rincorrendosi nei prati di campagna con il fratello minore Paul, a cui si sentì sempre molto legata. Il suo talento artistico scoppiò anche troppo presto: già a sei anni si diceva che fosse in grado di plasmare figure d’argilla incredibili per la sua età. Il padre di Camille accolse con favore il suo desiderio di intraprendere la carriera artistica, e trasferì la famiglia a Parigi, cosicché tanto la figlia quanto il figlio potessero studiare presso i migliori istituti. Di ben diversa opinione era la madre: irrimediabilmente legata agli stereotipi borghesi e conservativi non poteva accettare – e infatti non accettò mai – che una donna diventasse pittrice. O, peggio ancora, che si dedicasse alla scultura. Irrigidita dalle sue idee, cercò sempre di ostacolare la prosecuzione della carriera artistica della figlia, disapprovandone puntualmente i progressi.
L’incontro tra Camille Claudel e Auguste Rodin
A Parigi, Claudel cominciò a frequentare le lezioni di scultura all’Accademia Colarossi, che di recente aveva cominciato ad ammettere anche le donne. Il suo insegnante, Monsieur Alfred Boucher, riconobbe subito il suo talento, andando spesso a trovarla nell’atelier che condivideva con altre due artiste. Lei, dal canto suo, si impegnava con tutta se stessa per migliorare e rincorrere il fervore culturale di fine Ottocento.
Nel 1883, però, al suo maestro fu assegnato un nuovo incarico a Roma. Prima di partire, questi affidò la sua allieva più promettente nelle mani di un suo collega – Auguste Rodin – ai tempi ancora non particolarmente celebre e noto.
Rodin la prese con sé, prima come discepola, e poi, vista l’indiscussa bravura, come vera assistente nel suo studio.
La storia d’amore tra Camille Claudel e Auguste Rodin
Fin da subito, la giovane apprendista colpì l’occhio di Rodin, che le chiese di posare per lui come modella. E l’attrazione per quella sua musa-allieva proseguì, trasformandosi in vera passione amorosa tra i due. La giovane lo amava, malgrado egli avesse ventiquattro anni più di lei, e fosse inoltre sposato. Vi rivedeva il padre (con cui aveva da sempre mantenuto un forte legame) e vi trovava anche una sorta di occasione di rivalsa dalla madre. Finalmente, qualcuno apprezzava il suo lato artistico, lo accettava, e persino ne era innamorato.
Ma non era tutto un genuino sentimento affettivo, quello di Rodin. Claudel non era solo giovane e bella: era anche incredibilmente brava. A tal punto che il maestro, resosene conto, non mancò di sfruttare le sue doti – talvolta inarrivabili persino per lui – nelle sue sculture. Capitava infatti che le chiedesse di completare un’opera, e proprio nelle parti più complesse. Mani, volti: elementi che recano traccia di una sensibilità artistica diversa da quella di Rodin. Molto più profonda… femminile.
Per un certo periodo, le cose andarono bene. Tra i due vi era un’intesa completa: amore, ma anche avidità di imparare dell’una, e ricerca di successo mediante la sua musa dell’altro. Facendo da assistente allo scultore, la donna riusciva a guadagnarsi da vivere, tanto che lasciò la famiglia e divenne indipendente. Ma la situazione non era fatta per durare a lungo.
Il tragico epilogo di Camille Claudel
A un certo punto, Rose Boret, compagna di Rodin, venne a sapere del legame che lo univa alla giovane allieva. Cominciò dunque a fare pressione su di lui, perché si decidesse a scegliere: o lei, o Claudel. E la stessa richiesta proveniva da quest’ultima, in cui si rafforzava la convinzione che lo scultore la stesse davvero solo sfruttando per i suoi interessi di carriera. Nulla da fare. Dopo quindici anni di amore sofferto e sempre più consapevolmente impossibile, i due amanti si separarono, e fu lui a lasciarlo per prima.
Era il 1893: anno a partire dal quale la vita di Camille Claudel cominciò a scivolare verso un destino sempre più miserevole. Inizialmente, riprendersi e rimettersi al lavoro sembrava impossibile. Tanto più che, a poco a poco, cresceva in lei un’ossessione maniacale: credeva con sempre più convinzione che Rodin le avesse assorbito – prosciugandolo – non solo l’amore, ma anche il suo talento artistico.
Si isolò dal mondo, dagli altri artisti suoi conoscenti, rinchiudendosi nel suo atelier e lasciandolo solo di notte, per vagare disperata in città. A sostenerla, anche economicamente, rimase solo il padre. La madre (seguita dal fratello Paul) rimase insensibile al suo sconforto, pensando solo ai timori che una simile storia potesse macchiare il buon nome borghese della famiglia.
Se già questa situazione era precaria, peggiorò ulteriormente nel 1913, alla morte del signor Claudel. Fu allora che la moglie prese l’iniziativa e convinse i dottori a internare la figlia prima in una casa di cura e poi in un manicomio vero e proprio. E lì, sola e abbandonata da tutti, passò gli ultimi trent’anni della sua vita, malgrado i medici stessi – ritenendola una paziente non pericolosa – avessero più volte suggerito alla madre di riprendersela a casa con sé.
Una tragica sorte che si concluse nel 1943, quando morì di stenti e fu poi sepolta in una fossa comune.
La riscoperta delle opere e del talento di Camille Claudel
Per anni, tanto la sua storia quanto le sue opere rimasero completamente nell’ombra. Si raccontava che fosse morta addirittura già nel 1920: voce diffusa dalla madre per salvare la reputazione della famiglia. Finché, come già anticipato, uno studioso non la riscoprì per caso, dando origine a una lunga serie di studi sul suo conto. È così che oggi il talento di Camille Claudel ha un’occasione per riconquistarsi il posto nella storia dell’arte che si merita.
Le sue opere hanno un carattere molto particolare: emotive, sensuali, in cui il movimento delle forme si intreccia alla biografia dell’autrice. La Valze, il Valzer, è un esempio di scultura che racconta molto della sua vita sentimentale. Una coppia di danzatori, uniti in un abbraccio vorticoso, in cui le vesti della donna sembrano estendersi nell’ambiente circostante.
Emblematica è anche Chloto – nome che riprende una delle tre Parche della mitologia greca, incaricate di muovere i fili delle vite umane. È sintomo della ricorrenza della tematica del destino. La si vede, qui, come imprigionata nei suoi stessi capelli, che sembrano impedirle il movimento. Una rappresentazione enigmatica dell’incertezza che la giovane deve aver vissuto nel periodo in cui la scolpì.
L’opera che però tra tutte rimane la più eloquente nel riflettere il triangolo d’amore di cui Claudel fu protagonista è L’Age mur, L’Età matura. Vi si scorgono due figure – due amanti, probabilmente – uniti da una sottile stretta di mano, mentre una terza spinge via lontano l’uomo. Un chiaro cenno all’amore impossibile tra Camille Claudel e Rodin: un amore profondo ma per lei rovinoso, che merita davvero di essere raccontato per intero.
Emma Sedini
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