I pescatori di Monet. Storia del quadro ritrovato ora in mostra a Roma
Sono due studiosi italiani, Caterina Berlinguer e Alberto Bertuzzi, ad aver riconosciuto l’opera come originale di Monet. Ce ne parlano in questa intervista in esclusiva
15 aprile 1874. Una data che segnò la nascita dell’Impressionismo, quando Felix Nadar inaugurò, nel suo studio di Parigi, la prima mostra della Société Anonyme des Artistes. Società fondata nello stesso anno da un gruppo di artisti, tra i quali Monet, Renoir, Pissarro e Degas, con lo scopo di organizzare mostre dove presentare opere respinte dai Salon ufficiali.
Dopo 150 anni, il Museo Storico della Fanteria di Roma presenta l’antologica Impressionisti. L’alba della modernità: 66 artisti ed oltre 160 opere provenienti da collezioni private italiane e francesi, tra le quali un inedito di Monet. Si tratta de Les Pêcheurs de Poissy: dipinto di recente identificato come studio preparatorio dell’omonimo quadro, attualmente presente nella collezione del Museo del Belvedere di Vienna. Ce ne parlano i responsabili di questa nuova attribuzione: Caterina Berlinguer, esperta di comunicazione e marketing digitale, e il Professor Alberto Bertuzzi, noto storico dell’arte.
L’intervista a Caterina Berlinguer e Alberto Bertuzzi sulla scoperta dell’inedito di Monet
Cominciamo con una domanda quasi scontata: come avete rintracciato il dipinto? Quali erano le circostanze?
Caterina Berlinguer: L’opera fa parte di una collezione privata parigina. I proprietari lo acquistarono in tempi non sospetti da una galleria d’arte molto conosciuta di Parigi, Vaudoyer, dalla quale sono usciti anche quadri importanti. Dal momento che, secondo loro, ricordava il dipinto di Monet, Les Pêcheurs de Poissy, hanno poi voluto affidare a noi l’indagine. La ricerca, sviluppatasi su diversi fronti, ci ha portati a scoprire delle cose incredibili e a confermare che si tratta dello studio preparatorio del quadro viennese.
Che impressione avete avuto nel vedere l’opera per la prima volta e quali aspetti hanno fatto subito pensare a Monet?
C. B.: Abbiamo subito visto delle potenzialità, e per cui abbiamo accettato l’incarico.
Alberto Bertuzzi: Il soggetto ci ha richiamato immediatamente Les Pêcheurs de Poissy di Vienna, firmato e datato dall’autore. Quest’opera, invece, non è firmata: ciò costituiva per i proprietari la maggiore perplessità nell’ipotizzarne l’autenticità. Noi, però, sappiamo che Monet non era molto incline a firmare i suoi dipinti.
C. B.: Specialmente se si trattava di studi preparatori. Il figlio di Monet, pur di vendere i quadri del padre rimasti nell’atelier, aveva addirittura creato un timbro, per accontentare le persone che tenevano ad avere la firma sul dipinto. Molto spesso, infatti, gli acquirenti tornarono anche anni dopo, sia dall’artista stesso, finché fu in vita, per farsi siglare le opere, sia dal figlio che vi apportò, invece, dei timbri.
A. B.: Al Museo Marmottan Monet di Parigi, ad esempio, di opere firmate di sua mano se ne possono contare cinque o sei, forse, le altre o sono contrassegnate da questo timbro facilmente identificabile, o non sono firmate affatto. Monet spesso firmava e datava su richiesta degli acquirenti. Addirittura, negli anni Venti del Novecento si svolse un’asta delle sue opere e, siccome la maggior parte non erano firmate, fu chiamato l’artista stesso ad autenticarle con la sua firma, anche se si trattava di opere giovanili.
Quali indagini e ricerche hanno poi confermato la tesi?
A. B.: Ogni identificazione parte dalle indagini materiche. Trovata conferma che il tessuto della tela, la mestica di preparazione di questa, le vernici e i pigmenti, corrispondevano all’epoca nella quale l’opera veniva collocata, siamo passati all’indagine stilistica e semiotica. Abbiamo esaminato la pennellata, che – come un’impronta digitale – contraddistingue la mano di ciascun artista. L’indagine documentaria ha poi aperto uno spiraglio abbastanza stupefacente: dagli archivi di Parigi siamo riusciti a scoprire come quest’opera appartenne con ogni probabilità ad un collezionista inglese, Alex Reid. Costui, figlio di un corniciaio, era partito per Parigi per imparare a riconoscere l’arte. Casualmente, si ritrovò a lavorare nella galleria diretta da Theo Van Gogh, fratello di Vincent. A Parigi acquistò opere di vari autori, tra cui anche diversi Monet, e, tornato in Inghilterra, aprì la sua galleria; alla sua morte queste opere furono disperse.
C. B.: Dopo questa esperienza parigina, Reid aiutò anche un importante mecenate a realizzare la sua collezione di Impressionisti. A conferma di ciò, indagando sugli archivi del Musée d’Orsay, abbiamo rintracciato un catalogo di opere di Monet di Luigina Bortolatto, in cui si cita un’altra versione di Les Pêcheurs de Poissy, afferente ad una collezione privata inglese.
Quali sono state, invece, le maggiori difficoltà di attribuzione? C’è ancora qualche questione rimasta aperta?
A. B.: Nessuna particolare difficoltà, oltre al reperire i documenti. Il dubbio, invece, è fondamentale nella ricerca, e si parte sempre da quello. La prima domanda che ci facciamo sempre è: “perché dovrebbe essere attribuito a Monet?” L’attribuzione non è una scienza esatta.
Le implicazioni e i prossimi progetti attorno alla nuova attribuzione di Monet
Quali sono le implicazioni di questa scoperta? Cosa aggiunge o conferma rispetto a ciò che già sapevamo su Monet?
A. B.: La scoperta conferma il modus operandi del pittore. Sappiamo che Monet, viaggiando per i vari luoghi che lo interessavano, si portava dietro numerose tele e dipingeva en plein air abbozzando i quadri. Anche quando andò in Liguria o in Inghilterra si portò dietro venti, trenta, anche sessanta tele. Dopo il viaggio, tornava nel suo studio, e finiva tutto quello che aveva cominciato. Anche per il quadro di Poissy deve essere accaduta la stessa cosa:questa è una di quelle tele che non ha mai terminato, o che ha terminato nella versione più conosciuta di Vienna.
Quali sono i prossimi progetti riguardanti questo dipinto? Ci sono ulteriori mostre in programma?
C. B.: Sì, a Friburgo si terrà una mostra con questo dipinto, in cui sarà esposto come lavoro preparatorio accanto al capolavoro viennese.
Le altre indagini su Monet condotte dai due esperti
In passato avete già condotto ricerche di attribuzione, come riguardo a Tempête à Sainte-Adresse – un altro capolavoro di Monet.
C. B.: Abbiamo iniziato a lavorare nell’art investigation proprio quando ci hanno affidato un primo Monet, Tempête à Sainte-Adresse. Questo è attualmente uno dei quadri di cui si discute di più nell’ambito dell’arte internazionale, diventato famoso grazie a noi. La nostra è stata una vera e propria avventura: abbiamo affittato una macchina e siamo andati in giro per tutta la Normandia a cercare il luogo esatto in cui è stato realizzato il dipinto. Tuffandoci nella vita dell’artista, dalla sua corrispondenza ai segreti più incredibili, siamo riusciti a trovare le tracce di quest’opera e a creare una storia che non esisteva prima sulle carte. È stato richiesto per varie mostre in tutto il mondo, anche in Cina. Questo è esattamente ciò a cui auspichiamo: valorizzare i quadri, dare loro una luce della quale prima non godevano.
Recentemente è stata nominata membro del Consiglio di amministrazione nel Comitato Acquisizioni della Collezione di Impressionisti Peindre en Normandie. Cosa si aspetta da questa esperienza?
Dott.ssa Berlinguer: Dal momento che ci occupiamo di Impressionisti, questa è una qualifica molto importante; significa che gli stessi francesi riconoscono al nostro lavoro una certa autorevolezza. Avremo sicuramente altre sfide da affrontare. Vogliono affidarci altri quadri da analizzare, arrivati, o che arriveranno, nella collezione e sui quali ci sono dei dubbi. È un impegno importante.
Alessandra Crocco
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