Una mostra a Milano per riscoprire il grande dimenticato dell’arte Felice Carena 

A 145 anni dalla nascita, le Gallerie d’Italia restituiscono al pubblico questo pittore ingiustamente cancellato dalla storia per presunti legami col Fascismo. La mostra milanese è un’occasione unica e imperdibile per riscoprirlo

La grande proposta espositiva delle Gallerie d’Italia per l’estate 2024 è prima di tutto un “disegno di giustizia”. A 145 anni dalla nascita, il pittore italiano Felice Carena (Cumiana, 1879 – Venezia, 1966) trova la sua occasione di riscatto, dopo decenni di ingiusto oblio. Come accadde per altri maestri italiani condannati per la loro vicinanza al Fascismo – si pensi a Carlo Carrà, a Mario Sironi, o ancora a Felice Casorati – così fu per lui. Con la differenza che, almeno fino a oggi, nessuno si sia impegnato a riscoprirlo. Con questa mostra, le Gallerie realizzano questo intento: il grande maestro del Primo Novecento italiano si vede riconosciuto il ruolo di primo piano che ebbe in quegli anni. Le sue opere lasciarono infatti il segno in tutte le principali città d’Italia di allora: Torino, Firenze, Roma. E poi anche Venezia, dove si ritirò in una sorta di auto-esilio nell’ultimo periodo della sua vita. Pittore dai mille volti, mai uguale a se stesso, capace di rinnovarsi di continuo mantenendo però la sua unicità. Questa mostra ne esplora davvero ogni sfaccettatura.  

Felice Carena, Autoritratto del pittore Carena, 1904 circa, pastello su carta, diam. 45 cm, Torino, GAM - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea (inv. P/558). Su concessione della Fondazione Torino Musei. Foto Studio Fotografico Gonella 2024
Felice Carena, Autoritratto del pittore Carena, 1904 circa, pastello su carta, diam. 45 cm, Torino, GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea (inv. P/558). Su concessione della Fondazione Torino Musei. Foto Studio Fotografico Gonella 2024

Felice Carena: una pittura di luce, materia e spiritualità 

Tre sono le chiavi da tenere a mente per capire l’arte di Felice Carena e seguirne l’evoluzione. Luce, materia e spiritualità. La pensa così Luca Massimo Barbero – uno dei curatori della mostra – raccontando la poetica del pittore.  
Si tratta di una ricerca spiccatamente luministica, poetica, che lo conduce a esplorare prima il Simbolismo, e poi l’Espressionismo. Pur mantenendo, però, una certa vicinanza al Rinascimento. Guardando alle sue opere, pare di vedere ora Dante Gabriel Rossetti, ora Matisse. Ma con qualcosa di diverso, di vicino alla religione: un tema a loro del tutto estraneo. Carena fu un uomo e un pittore dal credo genuino e semplice, privo di ostentazioni bigotte. E le sue tele riflettono tutto ciò.  

Felice Carena e il ritratto del popolo 

Mi interessano due cose: i poveri e la luce”. Abbiamo parlato di una, mancano invece gli altri. La gente umile e del popolo entra nella pittura di Carena fin dagli inizi. Le sue opere raccontano nature morte e scene di genere quotidiane, che ritraggono la vita dei popolani, degli abitanti dei sobborghi cittadini di inizio Novecento.  
I poveri compaiono come protagonisti ad esempio in una delle sue tele più famose – presente in mostra – l’Autoritratto nello studio. Ma li si ritrova anche altrove: nei Viandanti del 1908, oppure ancora nel grande Teatro Popolare, che raffigura letteralmente una scena del “popolo che va a teatro”.  

La mostra di Felice Carena alle Gallerie d’Italia di Milano 

La mostra alle Gallerie d’Italia milanesi si articola in sei capitoli, che raccolgono ciascuno una sfaccettatura particolare della pittura di Felice Carena. Qui vi illustriamo le tappe da non perdere.   

I ritratti tra Simbolismo, Espressionismo e Realismo 

La prima sezione che si incontra lungo il percorso riguarda i ritratti. Una vera galleria di soggetti e di stili, uno diverso dall’altro. Si va dalle pennellate mosse e vibranti del ritratto della Signorina – un richiamo indiretto a Pierre Bonnard – all’autoritratto del 1904, in cui la candela consumata e la sveglia suggeriscono la brevità della vita. 
Da non perdere è anche il Ritratto di Gualfarda, in cui sembra di rivedere una delle donne dipinte da Matisse, o quello della moglie del 1934. 

Le nature morte domestiche  

Un secondo soggetto esplorato da Carena sono le nature morte. In mostra spiccano almeno due tavole apparecchiate per la colazione e la merenda. Rimandano alle versioni di Renoir, o di Giuseppe de Nittis, con porcellane finemente decorate e mazzi di fiori vaporosi in cui è la luce a essere protagonista.  
Proseguendo lungo il percorso, verso la fine si noteranno altre nature morte, completamente diverse. In luogo delle pennellate vivaci e picchiettate, impasti più compatti, dalle tinte tenui e quasi sbiadite. Opere lontanissime dall’Impressionismo, e assimilabili piuttosto a un Giorgio Morandi. Queste differenze sono un ottimo terreno in cui apprezzare la continua sperimentazione di Carena. 

Felice Carena, Ofelia, 1912, olio su tela, 62 x 200 x 3 cm, Collezione Alessandro Fogliato
Felice Carena, Ofelia, 1912, olio su tela, 62 x 200 x 3 cm, Collezione Alessandro Fogliato

I Nudi e l’Ofelia preraffaellita 

Nella sala dedicata ai nudi, spiccano due tele in particolare. Entrambe sono sviluppate per il lungo in orizzontale, ma appartengono a mondi opposti. Uno è un Cristo, deposto dalla Croce, e poggiato su un sudario candido che emerge nella penombra, simile a un tavolo di obitorio. L’altra, invece, è Ofelia: una giovane immersa in una pozza verdognola. Immediato il cenno ai Preraffaelliti e all’omonima opera di Dante Gabriel Rossetti.  

L’Estate e la Quiete: il ritorno all’ordine degli Anni Venti 

L’ideale conclusione del percorso mostra, una volta esplorate le sezioni dedicate alla pittura sacra e alle opere grafiche, e il centro dell’antica banca in Piazza Scala. Lasciando il “cuore” dell’allestimento per ultimo, ci si riserva due spettacolari grandi tele come finale. Appartengono entrambe agli Anni Venti: periodo definito del ritorno all’ordine di Felice Carena, dopo continue sperimentazioni e salti da un’Avanguardia all’altra. Tornano i colori caldi, ma rimangono le lezioni di Cézanne, forse Gauguin, e un probabile pensiero verso la Bagnante di Ingrés, immortalata nuda e di spalle.  
I dipinti in questione sono l’Estate – una fanciulla distesa su un’amaca – e la Quiete, con la donna di schiena, in un’atmosfera tipicamente campestre. Un finale che ripercorre i secoli, fino a Tiziano e Giorgione, riconfermando l’infinita capacità di rinnovarsi di questo pittore da riscoprire.  

Emma Sedini 



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Emma Sedini

Emma Sedini

Etrusca e milanese d'origine in parti uguali, vive e lavora tra Milano e Perugia. È laureata in economia e management per arte, cultura e comunicazione all'Università Bocconi, e lì frequenta tutt'ora il MS in Art Management. Nel frattempo, lavora in…

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