Al Louvre arriva una grande mostra sul “fou”, il matto. Con 300 opere
L'affascinante figura del matto, che faceva parte della cultura visiva degli uomini nel Medioevo, raramente è stata analizzata dal punto di vista della storia dell'arte. Ora ci pensa un percorso che si spinge fino al Romanticismo
Per il grande pubblico, l’arte medievale è spesso quella religiosa. È proprio nel Medioevo, però, che prende corpo a una delle figure narrative più eversive e interessanti giunte fino a noi: quella del matto. Pure se affonda le sue radici nel pensiero religioso, e nelle sue idiosincrasie, il topos del pazzo ha attecchito nel mondo secolare per diventare un elemento imprescindibile della vita sociale urbana, nella cultura popolare e non solo. È con l’ambizioso obiettivo di rintracciare l’evoluzione del folle e della follia che apre al Musée du Louvre di Parigi la grande mostra Figures du Fou. Du Moyen Âge aux romantiques / Le figure del matto. Dal Medioevo ai romantici, dal 16 ottobre al 3 febbraio 2025.
L’ascesa della figura del matto nella storia dell’arte
Le prime rappresentazioni vedono la follia legata alla sfera spirituale: spesso interpretata come ignoranza o assenza di amore per Dio – la definizione dello stolto è quella che, nelle Scritture, il negare l’esistenza del divino -, può anche diventare il suo opposto, un’ossessione: è il caso di San Francesco, presente in mostra con un capolavoro di Giotto che lo ritrae mentre riceve le stimmate. I cicli cavallereschi, come quello arturiano e quello carolingio, vedono quindi la follia come tormento amoroso – e così appare nelle miniature e negli avori in mostra -, e il folle è quel personaggio che denuncia i sentimenti “inaccettabili” sottesi ai valori cortesi. C’è spazio persino per gli scheletri, nell’amore cortese dell’olandese Hans Baldung, in mostra.
Nel XIV Secolo scende quindi in campo il buffone, un personaggio “politicizzato” che si fa antitesi della saggezza reale, e sua necessaria controparte: i suoi segni di riconoscimento sono i campanelli, il mantello rigato, il cappuccio. Da qui il tema sociale del “fou” esplode, tra iconografie legate alle feste carnascialesche e al folklore e riferimenti alla critica politica e religiosa della Riforma. Come dimostrano l’arte di Bosch prima e di Bruegel poi, a cavallo tra Medioevo e Rinascimento, la sua figura divenne onnipresente: sono dopotutto gli anni dell’Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam.
Il ritorno del matto nel Romanticismo
Nonostante in epoca moderna la figura istituzionalizzata del pazzo sembri progressivamente svanire, in seno all’Illuminismo la follia si prende la sua rivincita per manifestarsi in altre forme, più libere. È questo il suo punto di approdo nell’Ottocento, quando assume connotati tragici e crudeli nel mezzo delle rivoluzioni politiche e artistiche. Sono anche queste a conferire al matto quello spessore – e quella discrezionalità prospettica – con cui è arrivato fino ai giorni nostri. Sviluppando una sensibilità inedita.
La grande mostra sulla follia al Louvre
Nonostante sia un protagonista dell’arte dal XIII al XVI Secolo, il folle non è stato granché studiato da un punto di vista artistico. La mostra curata da Élisabeth Antoine-König, curatrice capo del Dipartimento di Arti Decorative, e Pierre-Yves Le Pogam, curatore capo del Dipartimento di Sculture del museo, vuole rifondare lo studio e l’esposizione delle opere sul tema. E lo fa – anche grazie al sostegno della Bibliothèque Nationale de France in collaborazione con la Phoebus Foundation – rintracciando le rappresentazioni del pazzo in oltre 300 opere in un percorso cronologico e tematico: sculture, oggetti d’arte (avori, scatole, bronzetti), medaglie, miniature, disegni, incisioni, tavole, arazzi e oggetti d’uso comune provenienti da tutto il mondo, con un focus soprattutto sui panorami francese, fiammingo, germanico e inglese.
Giulia Giaume
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