Le mostre su Enrico Baj tra Milano e Liguria. Quando l’arte radicale sa essere spiritosa
I cento anni dalla nascita di Enrico Baj sono celebrati a Milano, Savona e Albisola con una rassegna diffusa. Un viaggio nell’ironia di un artista impossibile da incasellare
La linea ironica è spesso rimasta sottotraccia, nell’arte italiana. Non sono mancati, nel corso del secondo Novecento, spunti di raffinato humour e forme di espressione spiritose nel senso più alto del termine. Questi sono stati tuttavia relegati in secondo piano a causa della seriosità di stili dominanti come l’Informale prima e il generale concettualismo poi. Con una grande eccezione: Enrico Baj (Milano, 1924 – Vergiate, 2003), uno dei massimi rappresentanti di questo approccio, con la sua filosofia Patafisica e con la sua costante capacità di analizzare le evoluzioni della società – anche ponendosi in forte opposizione – e trovando la sintesi espressiva più felice e paradossale.
Risulta dunque più che meritata la grande celebrazione che gli riservano nel centenario dalla nascita Milano, con un’antologica al Palazzo Reale, Savona e Albisola, con una mostra in più sedi che analizza il suo lavoro con la ceramica. Baj chez Baj è il titolo generale dell’iniziativa, non solo per sottolineare l’unità del lavoro dell’artista – le sue incursioni nelle arti “minori” non sono per nulla divertissement secondari – ma anche perché Milano e la Liguria sono tra i “suoi” luoghi, dove visse ed ebbe esperienze professionali importanti.
La mostra di Enrico Baj a Palazzo Reale a Milano
Al Palazzo Reale, con la curatela di Chiara Gatti e di Roberta Cerini Baj, cinquanta opere coprono il periodo primi anni Cinquanta-inizio Duemila, dimostrando la varietà assoluta di continue invenzioni che però non sono mai estemporanee: l’eclettismo della sua ricerca attinge a piene mani da istanze, cultura visiva e materiali della società di massa (per alcuni aspetti, la sua poetica è stata approssimativamente assimilata al Pop). Il Nuclearismo, naturalmente, rimane una delle sue invenzioni maggiori. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, prima della ricostruzione e del boom, il mondo si trovava stretto nelle prime fasi della Guerra Fredda, mentre l’arte cercava di metabolizzare l’eredità delle Avanguardie storiche e soprattutto del Surrealismo. Ecco che questa prima fase di Baj, con principale sodale Sergio Dangelo. fonde in maniera imprevista l’Informale allora imperante e il lascito di Dadaismo e Surrealismo, ironizzando allo stesso tempo in maniera impagabile sulla seriosità della nuova ricerca pittorica. La sua “bad painting” ante litteram, in parte ispirata dal gruppo Cobra, rappresenta in questo periodo inquietanti masse di materia e “non colore”, nella quale si trovano incastonate immagini tratte dalla comunicazione, figure che si aggirano prive di coordinate spaziali e temporali.
Enrico Baj, fustigatore della cultura di massa senza ergersi a moralista
Non mancano poi ovviamente in mostra i suoi cicli successivi, molti dei quali celebri (ma forse non sempre considerati appieno): le Dame e i Generali, ad esempio, rimangono anche a distanza di decenni perfette analisi della vanità del potere, della ricerca di una velleitaria distinzione dell’individuo all’interno di una società massificata, della superbia che caratterizza l’affermazione mondana. I cicli degli Ultracorpi, degli Specchi, del Meccano, dei Mobili e dell’Apocalisse fanno poi capire come la sua analisi della cultura di massa sia leggermente decentrata rispetto alla mera introduzione nell’opera d’arte di spunti e oggetti comuni, come invece faceva la Pop Art. I suoi materiali sono invece da subito “nostalgici”, franchi nel dichiarare la loro fattura artigianale e un po’ desolata anche quando vorrebbero ostentare il lusso. Radicale e antiborghese, Baj fustiga i costumi senza ergersi a maestro di morale, ma “sporcandosi le mani”.
I Funerali dell’anarchico Pinelli
La mostra milanese diventa ancor più importante grazie alla presenza dei Funerali dell’anarchico Pinelli, che tornano nella sala delle Cariatidi a dodici anni dalla precedente esposizione nello stesso luogo. E soprattutto a cinquantadue anni dalla loro mancata esposizione. Nel 1972, la monumentale opera doveva essere presentata al Palazzo Reale. L’uccisione del commissario Calabresi fece considerare inopportuna l’iniziativa e la mostra venne annullata. Oggi l’opinione pubblica, che è priva di una definitiva verità processuale sulla morte di Pinelli ma nutre pochi dubbi su come andarono le cose (anche tramite l’intermediazione e la divulgazione di grandi artisti come Dario Fo), può ritrovare un monumento di impegno civile che si ispira liberamente alla Guernica di Picasso, testimoniando e allo stesso tempo superando un’altra grande ispirazione che influenzò massicciamente l’arte del secondo Dopoguerra, quella del maestro spagnolo.
La ceramica di Enrico Baj in mostra a Savona e Albisola
L’importante opera in ceramica di Baj è un’ulteriore conferma del suo approccio libero e della sua statura di innovatore. In un periodo in cui in Italia la pratica delle arti minori finiva addirittura per penalizzare un artista (si pensi a Fausto Melotti), lui ne fece parte integrante della sua ricerca. La mostra ligure, curata da Luca Bochicchio e suddivisa tra il Museo della Ceramica di Savona, il Centro Esposizioni di Albisola e la Casa Museo Jorn sempre ad Albisola, racconta della sua produzione che fu già all’epoca esposta in loco ma anche in altri centri nodali della ceramica come Faenza. Particolarmente significative sono le ceramiche del periodo Nucleare, con la materia che trionfa nel diventare massa allo stesso tempo compatta e frastagliata, capace di irridere con la sua paradossale raffinatezza all’idea classica di “decorazione”. Così come sono notevoli quelle che testimoniano del postsurrealismo e quelle che giocano apertamente con il concetto di kitsch. Concetto quest’ultimo con il quale in fondo Baj ha giocato lungo tutta la sua carriera, fermandosi sempre al perfetto punto di congiunzione tra una volontà di testimonianza fedele della cultura diffusa e una capacità di trasfigurazione immaginifica, capace di ridare spazio all’estetica in un mondo seriale e “preconfezionato”.
Stefano Castelli
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