Munch. A Milano 100 capolavori raccontano tutta la produzione del grande pittore
A Palazzo Reale una grande mostra riporta il maestro in città dopo 40 anni. Dall’Urlo ai dipinti sulla sensualità: un invito a riscoprire ogni lato della sua vastissima produzione. Qui tutti i dettagli sul percorso espositivo
Dopo 40 anni dall’ultima presenza a Milano, Edvard Munch torna in città, con una grandissima mostra a Palazzo Reale. Un progetto espositivo ricco e dettagliato, realizzato in stretta collaborazione con il Museo MUNCH di Oslo – da cui provengono le opere esposte – che fa onore al ricordo del maestro norvegese. Non si tratta infatti di un semplice focus sui suoi contributi più noti – L’Urlo è presente, ma in una versione litografica – bensì di un invito alla piena riscoperta ed esplorazione dell’intera sua produzione. Una produzione, quella di Munch, che oltrepassa i confini della disperazione e della malinconia, per spaziare a tutta la sfera emotiva e psicologica umana. Dal positivo al negativo. Dall’inquietudine e rassegnazione della morte, al piacere indomabile della passione erotica. Questo, attraverso colori forti dall’espressività straordinaria e un folto gruppo di autoritratti che scandiscono le tappe della sua lunghissima vita.
Per punti
La pittura di Edvard Munch: la natura come mezzo di espressione delle emozioni
“Quando ci si trova in uno stato d’animo intenso, un paesaggio susciterà una certa impressione – raffigurando questo paesaggio si arriva a un’immagine del proprio stato d’animo – e questo stato d’animo la cosa importante. La natura è solo il mezzo”. Per tre volte la parola stato d’animo ritorna in questa celebre frase che il pittore scrisse tra i suoi quaderni di annotazioni del 1890. L’importanza che Munch dava alle emozioni nelle sue opere è dunque evidente. Ogni ricordo, ogni fatto biografico dall’infanzia all’età anziana, è prima di tutto filtrato attraverso i sentimenti, e solo poi dipinto. Ne derivano rievocazioni intense degli accadimenti, immagini modellate dalla memoria ed espresse con una tavolozza che racconta lo stato d’animo più che la natura e la storia stesse. Con questa consapevolezza, si può cogliere il ruolo fortemente simbolico assunto da ciascun elemento delle composizioni. Persino il tenore dei tocchi di pennello. Si prenda ad esempio proprio l’Urlo, e si guardi il contrasto tra le linee curve e spigolose. Le prime accomunano il protagonista disperato e la natura del mare e del cielo infuocato, partecipi del dolore. Le altre, invece, distinguono la coppia di amici distanti e la strada della collina: entrambi estranei e incuranti del pittore sofferente. Un altro caso è La morte nella stanza della malata. In esso, l’attenzione è tutta sulla seggiola voltata, che fa da ricettacolo di sentimenti funebri che ciascun osservatore – in base alla propria esperienza – può proiettare. Così facendo, un semplice arredo si trasforma in un potente canale espressivo. E si potrebbe andare avanti a riflettere similmente per ogni opera: la mostra è ricca di esempi da tutto lo spettro emotivo.
Edvard Munch e la psicologia
Parlando di emozioni, viene facile avvicinare Munch agli studi psicologici e psicoanalitici di inizio ‘900. Il legame è incontestabile: “ho dipinto ciò che ricordo e non ho aggiunto nulla” – disse commentando i suoi lavori. L’indagine sull’inconscio e sui meandri della memoria si accompagna benissimo al suo modo di dipingere. D’altronde, le conoscenze del pittore nelle cerchie di intellettuali sono note e testimoniate dai suoi stessi quadri: prima il circolo bohémien norvegese – le prime sezioni espositive portano molti esempi al riguardo – poi l’amicizia col poeta polacco Stanisław Przybyszewski. Non si tratta di psicanalisti nel senso proprio del termine, ma sono tutti contatti utili a rilevare l’immersione di Munch nel fervore culturale europeo dell’epoca.
Diventa dunque interessante – e possibile – riflettere sulle opere presenti in mostra alla luce della teoria freudiana. Esse rappresentano il “contenuto manifesto” dei ricordi dell’artista paragonabili ai sogni, di cui i dettagli (oggetti, colori, personaggi) costituiscono gli aspetti “latenti” mascherati dalla mente.
La mostra di Edvard Munch a Palazzo Reale a Milano
È il momento di entrare più nel dettaglio nella mostra che Palazzo Reale ha voluto dedicare ad Edvard Munch. Una rassegna che, come già anticipato, vuole restituire al pubblico tutta la vastità del suo lavoro, al di là dell’Urlo. Questo, in fin dei conti, è solo uno dei passi di un percorso di ricerca pittorica molto più ricco ed esteso. Ecco tutte le opere e le tappe da non perdere.
Il titolo della mostra
Munch. Il grido interiore. Titolo che esprime l’intento della curatrice, Patricia Berman, di trasmettere quanto ciascuna opera del pittore fosse un mezzo per dare voce e comunicare al mondo la propria interiorità. Un canale per lui anche più efficace delle parole stesse, inteso a veicolare le sue percezioni dal valore universale. La sua arte contiene infatti riferimenti comuni a tutti gli uomini: nascita, morte, amore, disagio causato dalla malattia, e via dicendo.
Le disgrazie familiari dell’infanzia
Il percorso espositivo si apre con una serie di ritratti e scene legate al contesto familiare. Un contesto difficile, disseminato fin dall’inizio da lutti e disgrazie, che verranno poi rievocati da Munch per tutta la vita. Spicca l’effigie di Laura, quarta dei cinque fratelli, che – come il pittore stesso – rivelò in età giovanile un certo talento artistico. Un’ambizione stroncata dai disturbi psicologici di cui cominciò a soffrire già da ragazza. Il piccolo quadro, nell’asimmetria degli occhi, pare anticipare la sua futura malattia, poi resa più esplicita in Malinconia. Tale seconda tela rappresenta – nelle parole di Munch – “la donna malinconica che ho visto al manicomio”. Sguardo sbarrato, vacuo e fisso sull’osservatore; colpisce il pezzo di tavolo dipinto a sinistra, dalla texture simile a quella di un cervello, come a sottolineare le problematiche mentali della protagonista.
Il circolo bohémien e la malattia
Compaiono poi una serie di disegni e dipinti che paiono intrisi di alcol, tabacco e mosto d’uva. Immagini macchiate di colore, intesi a trasmettere tutta l’ebbrezza dei soggetti attorno ai tavoli che sono rappresentati. Si tratta del circolo di intellettuali bohémien che Munch frequentò a lungo a Kristiania negli Anni ‘80, di cui lo scrittore anarchico Hans Jæger era la figura centrale.
Il penultimo decennio del 1800 fu anche quello in cui il pittore cominciò a rievocare il tema della malattia, così ricorrente nelle sue vicende personali giovanili. L’opera che diede inizio alla serie è la Bambina malata (presente in mostra in diverse versioni): un’icona struggente, con il volto di profilo dagli occhi chiusi, come se dormisse, sognando di andare lontano dal suo tormento.
Urlo, Angoscia e Disperazione
L’esplorazione della sfera emotiva negativa prosegue con tre elementi chiave della produzione dell’artista. Ci si “prepara” con la Disperazione: dipinto dalla tavolozza di rossi, aranci, blu e verdi – molto simile a quella dell’Urlo – in cui appare un giovane chiuso nel proprio dolore in primo piano, mentre i due “amici” si allontano incuranti.
Poi, ecco il tanto atteso capolavoro, qui esposto in una rara e fragilissima versione litografica, che con il contrasto di bianco e nero fa risaltare estremamente il volto teso del soggetto in primo piano.
Per finire, c’è un terzo lavoro vicino a queste tematiche. Si parla dell’Angoscia. Una xilografia studiata giocando con le venature del legno, che connotano la trama dell’immagine in modo particolare. Se negli altri due lavori avevamo una sola figura centrale, qui c’è una folla di borghesi, che ricordano molto quelli della Sera sul Viale Karl Johan. L’effetto è opprimente, genera inquietudine con la massa di gente che sembra procedere inesorabile, con volti sbarrati e cadaverici, verso l’osservatore.
Amore, erotismo, legami spezzati
Le ultime sezioni della mostra completano la visione sulla produzione monumentale di Munch, indagando l’ambito amoroso, fino a sfociare in un sottile erotismo, a cui non mancano ricorrenti cenni macabri. Folto è il gruppo di opere attorno all’idea di bacio tra due amanti. Dalle coppie disseminate per i giardini, ai primi piani in cui i volti dei due protagonisti si uniscono a tal punto da fondersi l’un l’altro. Una visione del sentimento ritenuto incontrollabile, che priva l’uomo della ragione.
Un altro capolavoro imperdibile è Madonna: il mezzobusto di una donna estatica, sensuale, avviluppata nelle ciocche corvine. Una scena secondo alcuni di puro erotismo, completata dall’eccentrica cornice popolata da un feto e da spermatozoi. Quella esposta è una delle moltissime litografie colorate che a mano Munch realizzò, viste le altrettante richieste dei committenti.
A conclusione del percorso, c’è ancora un’ultima serie da sottolineare. Il corpus proposto influenzato dalla figura di Tulla Larsen: unica donna che Munch avesse mai pensato di sposare. Una storia d’amore tormentata, che si risolse con l’ennesimo esito negativo e doloroso per lui. Vederla raffigurata in mostra nei panni di Charlotte Corday – l’assassina del rivoluzionario francese Marat, impersonato dal pittore – fa luce sull’esito della relazione. Ancora di più colpisce però il doppio ritratto dei due, volutamente tagliato a metà per sancire materialmente la separazione.
Finiti questi sentimenti impetuosi, il percorso si chiude, come volendo calmare le acque agitate, con una tela quieta, incredibilmente serena. Le ragazze sul ponte: un raggio di sole in fondo a tormenti che sembravano senza fine.
Emma Sedini
Libri consigliati:
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati