A Milano una mostra dove tutte le opere rappresentano teste mozze. Dal Cinquecento a oggi

Si intitola “Perdere la testa” ed è la nuova esposizione di BKV Fine Art. Una rassegna che raccoglie dipinti e sculture sul tema del capo mozzato, dal tardo Rinascimento, ai Caravaggeschi, fino alle interpretazioni moderne di Bertozzi & Casoni e Julian Schnabel

Salomé e san Giovanni BattistaGiuditta e Oloferne, o ancora Davide e Golia. E si potrebbe continuare oltre, con Medusa, ad esempio, a enumerare le iconiche “teste mozze” della storia dell’arte. Fin dall’antichità, dai testi biblici addirittura, l’idea di mettere fine con la decapitazione all’esistenza di malvagi personaggi, santi martiri, ed eroi destinati alla gloria eterna, è molto ricorrente. Nel mito, quanto nelle pagine sacre e, di conseguenza, nell’iconografia. Spesso non ci si pensa, ma i pittori di ogni epoca ci hanno “abituato” a vedere episodi di estrema violenza, riducendoli a nature morte o composizioni pittoriche quasi “godibili”. Se si guarda ai tanti piatti d’argento su cui viene “servita” la testa di san Giovanni, oppure ai vassoi che accompagnano l’eroina biblica Giuditta vittoriosa su Oloferne, si coglie subito il punto. Si ha a che fare con una violenza diventata spettacolo. Una riflessione valida davanti alle tele ombrose dei seguaci di Caravaggio, ma anche – purtroppo – nel quotidiano della realtà contemporanea.  È questo il messaggio chiave alla base della mostra proposta da BKV Fine Art a Milano: una rassegna dal tema curioso e inaspettato, che induce però a una lettura critica di fondo. Dalla prima all’ultima opera, la testa tagliata è protagonista, in una ripetizione quasi ossessiva. Ripetizione che, in secondo piano, nasconde un lato inquietante (ma anche vero) dell’indole umana. 

Giovanni Ambrogio Figino, Testa del Battista - Ph. credits Matteo Zarbo
Giovanni Ambrogio Figino, Testa del Battista – Ph. credits Matteo Zarbo

“Perdere la testa”: un’ossessione iconografica dal Cinquecento all’arte contemporanea

Sessantaquattro opere, tutte legate ossessivamente allo stesso tema. Quello della testa mozza. Un’idea nata scorrendo le immagini d’epoca di quella che era Casa Koelliker – lo stabile dove oggi ha sede la Galleria – una ventina di anni fa. A stupire era il corridoio, che appariva tappezzato di dipinti raffiguranti questo macabro soggetto: un horror vacui che lasciava sottintesa la “passione” (se così la si può definire) del collezionista proprietario. 
La provenienza di parte di quelle teste tagliate era connessa a un altro personaggio del mondo artistico milanese, Giovanni Testori. Anch’egli era, a quanto pare, cultore di questa declinazione del genere pittorico della natura morta. Si racconta, inoltre, che mentre scriveva il testo teatrale dell’Erodiade, avesse realizzato lui stesso tre acquerelli sul soggetto. Due di essi compaiono in mostra, attestando l’interesse per la rappresentazione di queste parti del corpo ridotte a “oggetto di consumo visivo” – semplice carne – anche nel panorama moderno. L’apice della popolarità della testa mozza è però il 1500-1600, quando comparvero le icone destinate a essere imitate e riprodotte innumerevoli volte a partire dalla loro creazione.

La mostra “Perdere la testa” da BKV Fine Art a Milano

Il percorso espositivo allestito negli spazi della Galleria milanese è di grande effetto. Il pianterreno, moderno, accoglie con un tavolo di teste “servite” su piatti marmorei. Ma è il primo piano a far immergere davvero nell’ombrosità dell’iconografia barocca, grazie alle stanze dai rivestimenti lignei, alternati ad inserti in cuoio lavorato originali. 

La testa mozza nel Cinquecento e nel Barocco

Salutati” dalla Salomé con la testa del Battista del pittore barocco Juan Bautista Majno, si è introdotti nella sala che accosta due mosaici di teste sulle pareti. Uno è dedicato alla trattazione cinquecentesca della testa-natura morta, con varie opere ispirate al celebre modello di Andrea Solario: un’immagine devozionale commissionata da Luigi XII di Francia. L’altro muro si sposta invece sul Seicento post-caravaggesco, con tele molto più cupe e scure.

Giuditta, Davide e Salomé: i carnefici della storia dell’arte

Tutto il piano superiore della galleria è dedicato alle tre coppie di carnefice e decapitato più celebri della storia. Davide e Golia, Salomé e san Giovanni, Giuditta e Oloferne. Molto interessante la contrapposizione tra le ultime due, che identifica nella prima, Salomé, un’erotica e subdola assassina, mentre nella seconda una vera eroina sacra, che libera il popolo di Israele dalla minaccia del nemico.
L’atmosfera dal profumo antico dell’ambiente, pervasa da luci soffuse, crea un continuum tra opere e realtà. Ecco che ci si ritrova partecipi dei trionfi delle due fanciulle, che mettono in mostra i loro “trofei” di teste. Bellissime e raffinate le une, inquietanti le altre. E non mancano le interpretazioni contemporanee che si intervallano alle tele barocche. Una terracotta di Arturo Martini con una sensualissima Salomé; la rielaborazione della testa Golia – autoritratto di Caravaggio della Galleria Borghese, realizzata da Schnabel nel 2020. Opere che interrompono l’oscurità antica e che riconfermano l’attualità del godimento ossessivo dato dall’ammirare la violenza oggettificata.

Emma Sedini

Libri consigliati:

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Emma Sedini

Emma Sedini

Etrusca e milanese d'origine in parti uguali, vive e lavora tra Milano e Perugia. È laureata in economia e management per arte, cultura e comunicazione all'Università Bocconi, e lì frequenta tutt'ora il MS in Art Management. Nel frattempo, lavora in…

Scopri di più