Al di là di tutto la mostra sul Futurismo a Roma è una bella mostra. La recensione

Si è molto discusso in questi mesi della mostra sul Futurismo appena inaugurata alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Malgrado le polemiche, l’esposizione c’è e svela anche una serie di opere, di proprietà del museo, poco viste negli ultimi anni

Habemus Balla. E Boccioni, Severini, Russolo e tanto Prampolini. Finalmente dopo sofferta, polemica e discussa attesa (si vedano i casi legati alla curatela di Alberto Dambruoso, con tanto di puntata di Report, e alla compresenza in Galleria Nazionale e in mostra del logo e dell’installazione di Lorenzo Marinindr) la mostra del Futurismo tanto voluta dall’ex ministro Sangiuliano, tanto complicata dalle defezioni degli specialisti e le lotte fra curatori, è ora aperta inaugurando oltre che se stessa anche un nuovo corso della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.

La mostra sul Futurismo

Un corso che sa di ritorno all’ordine come tra le righe aveva già annunciato alla sua nomina l’attuale direttrice Renata Cristina Mazzantini, confermato qui da una rassegna storica ordinata cronologicamente, con pannelli didattici fin troppo didascalici e priva di particolari guizzi curatoriali.
Eppure, bisogna ammetterlo siamo di fronte ad una vasta e solida mostra e non a quello che si temeva: una messa in scena d’epoca con pochi e dubbi quadri di contorno a una macchina di entertainment. Qui invece ci sono opere di eccezionale qualità che di sala in sala restituiscono la vivacità creativa, la forza di sperimentazione ma anche la grande sapienza formale compositiva di pittori, scultori e grafici che aderirono al movimento.
Non che sia una sorpresa perché grazie anche a grandissime rassegne a cominciare dalla “Ricostruzione futurista dell’Universo” di Enrico Crispolti (Torino 1980) fino al “Post Zang Tumb Tuuum” di Germano Celant(Milano 2018), sappiamo bene che il Futurismo fu motore della rivoluzione visiva delle avanguardie nella prima metà del Novecento.
Quello di cui invece non ci eravamo accorti è che la maggior parte di questi capolavori arrivano dai locali che sono sotto il parquet che stiamo calpestando, ovvero dagli stessi depositi della Galleria. Cento opere contro le oltre duecentocinquanta esposte fanno infatti parte del patrimonio della Gnam, e sono poco o quasi niente viste. 

Lorenzo Marini, installazione immersiva alla GNAM per la mostra del Futurismo
Lorenzo Marini, installazione immersiva alla GNAM per la mostra del Futurismo

Le opere sul Futurismo della Galleria Nazionale

E che opere! Cito in ordine sparso alcune improvvise sorprese: la Futurlibecciata dipinta da Balla su una carta stretta e lunga circa un metro che sembra una stampa di Hokusai; il ritratto di Benedetta Marinetti che negli occhi di Prampolini sfuma in un paesaggio; la felice travolgente confusione del Cafè de Paris nella tela di Ugo Giannattasio che quasi riproduce il tintinnio dei bicchieri; gli arcobaleni di Dottori nella sala dell’aeropittura, la Bionbruna tutta dorata con le perle che luccicano (ed è ancora Balla) il Can-Can di Giuseppe Cominetti, i lampi blu dei prismi lunari di Fortunato Depero….
Magari eravamo distratti o forse non li avevamo notati il quel Time is out of joint (Tempo fuori dai cardini); fu più che un titolo il viatico che nella precedente gestione aveva guidato Cristiana Collu a illustrare la collezione permanente con una montagna russa di cortocircuiti, salti logici e temporali fra correnti, movimenti, decenni che di sala in sala accostavano cose diverse per assonanze impreviste.
La sua, a differenza di questa, fu una interpretazione molto personale della collezione, decisamente più adatta a una mostra a tema che a vestire l’anima e la missione di un museo. Soprattutto di “questo museo”, fondato nel 1911 come culla dell’arte di una nazione nata da poco, con quel suo straordinario Ottocento, così bene messo in luce ai tempi della direzione di Maria Vittoria Marini Clarelli. 
Per cui la prima sensazione che arriva da questa riordinata galleria con una esposizione di opere tanto classica quanto importante, era di entrare di nuovo in quel museo nazionale, anche se in realtà eravamo in una mostra. 

Il tempo del Futurismo 1909 -1924, Installation View, Ph LP
Il tempo del Futurismo Installation View Ph LP

I prestiti della mostra sul Futurismo

Ma una mostra con prestiti importanti da istituzioni nazionali e internazionali dove spiccano il Nudo che discende le scale di Duchamp dal Philadelphia Museum of art, L’autoritratto di Boccioni dal Metropolitan, e infine Le Boulevard di Severini e l’Idolo moderno di Boccioni dalla Estorick di Londra (tutti indiscutibili capolavori).
E poi le sezioni di grafica, i focus sulle arti applicate (la cameretta per bambini di Balla dalla collezione Biagiotti), le pubblicità del Campari, le rarissime marionette in legno dove con spirito anarcoide Prampolini nel 1922 rende grotteschi Il re, Mussolini, Nitti, Giolitti e don Sturzo insieme al diavolo, al mondo e al fascismo, o l’ottimo omaggio a quel grande disegnatore che fu Antonio Rubino, tra i fondatori del Il Corriere dei Piccoli.
Lasciano più perplessi la presenza di motori e marchingegni, automobili e aereoplani, apparecchiature di varia utilità a dimostrare che fu epoca di grandi invenzioni e cambiamenti…mentre interessante è la ricostruzione degli “Intonarumori“, famiglia di strumenti musicali di Luigi Russolo con quotidiana riattivazione di repitatori, gorgogliatori, rombatori, ronzatori, scoppiatori, sibilatori, stropicciatori e ululatori . 
Concentratevi sul titolo”, ci dice il curatore Gabriele Simongini. “Questa non è solo una mostra sul Futurismo ma sul Tempo del Futurismo”, che qui di certo è ben saldo nei suoi cardini tanto che sembrano francamente inutili ingenue e sempliciste le fughe in avanti proposte dalle didascalie che vogliono per forza legare la rivoluzione digitale a quella futurista o le forzature che vedono Guglielmo Marconi (c’è una sala interamente dedicata a lui) come bisnonno di Steve Jobs.

Il tempo del Futurismo 1909 -1924, Installation View, Ph LP
Il tempo del Futurismo 1909 -1924, Installation View, Ph LP

La mostra sul Futurismo: cosa invece non funziona

Infatti, l’unica vera caduta di questa rassegna è nel “ritorno al futuro” nel voler immaginare un Marinetti che già vede internet o un aeropittore che anticipa i viaggi su Marte di Elon Musk. 
Che queste fughe in avanti non funzionino è ampiamente dimostrato nelle ultime, inutili sale della mostra. Quelle sull’ “Eredità del Futurismo” dove in un discutibile mix and match si battezzano figli del Futurismo tanto il Pop Romano che l’Arte Povera, si espone un Tinguely accanto a un Fabro, I 32mq di mare circa di Pino Pascali sotto un sacco di Alberto Burri e intorno tele colorate di Dorazio, plurimi di Vedova, la colonna di Zorio e pannello cinetico di Alberto Biasi. Tutti insieme confusamente in una cattiva scrittura visiva a indebolire invece che fortificare il progetto. Ma a che scopo dover forzare la missione e la temporalità di una buona mostra? E ancora: a che scopo dover forzare la missione e la temporalità di un museo?

Il logo della Galleria Nazionale d’Arte Moderna

È la stessa domanda che viene spontanea di fronte al nuovo logo della Gnam con quella C rossa che sta per contemporaneo, malamente aggrappata al resto che già a colpo d’occhio ci dice quanto si sente scomoda. Ma chiamarsi Galleria Nazionale d’Arte Moderna non bastava? Eppure è una grandissima istituzione. Il suo Ottocento vale la Tate, Il suo Futurismo, lo state dimostrando, è un museo a sé stante. E la missione di avere un patrimonio visivo che dall’Unità d’Italia arriva alle soglie del terzo millennio dovrebbe essere sufficiente, non solo per le forze di un museo ma anche per la mente di un visitatore che quando sceglie di andare in un luogo dovrebbe sapere cosa trova.
Per la fluida contemporaneità c’è già il Maxxi che in fondo non è neanche così lontano: circa due chilometri, sette minuti in macchina, trenta a piedi (come dice Google Maps) e a ognuno il suo secolo.

Alessandra Mammì

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