Edwarda
“Balzac vedeva nell'alcool, lo zucchero, il tè, il caffè e il tabacco cinque eccitanti moderni, di cui valutava nocività o benefici in rapporto all'uso che se ne faceva. Noi ci permettiamo di aggiungerne un sesto: la femme fatale”. Voilà uno degli editoriali fulminanti con cui la giovane fotografa francese Sam Guelimi firma di volta in volta la sua amata creatura, ovvero la rivista di cultura erotica “Edwarda”, in cui raccoglie complici contributi d’autore.
Alle fotografie dell’inventrice, direttrice, instancabile animatrice delle lussuose pagine di Edwarda (nome ispirato a uno storico romanzo di Georges Bataille) Sam Guelimi ha dedicato una personale nei mesi scorsi la Galerie Libertine di Bruxelles, aiutando lo sdoganamento della di lei conturbante poetica anche in ambienti artistici non strettamente legati all’estetica erotica. In effetti, l’opera di Sam Guelimi, programmaticamente piccante, giunge a svelare insospettate caratteristiche performative, in grado di stuzzicare non solo le parti basse del pubblico più curioso.
Ebbene sì, i suoi soggetti sono sempre giovani donne, sempre più o meno svestite, sempre provocanti, eleganti, allettanti: quali più calde, quali più fredde, tutte emanano comunque quello speciale charme francese che non si riesce mai a definire bene ma che immancabilmente si riconosce a prima vista. Le foto guelimiane se ne fanno interpreti esatte, formalistiche, tra pervertimenti controllati e abbandoni languorosi, tra la seduzione di certi gesti allusivi e l’avvolgente melodia del desiderio invincibile. L’operazione, che non sembrerebbe poi tanto originale, comincia però a infarcirsi quando si scopre che l’audace Sam, interpretando un ruolo demiurgico, fotografa esclusivamente e unicamente per la sua rivista; in tale ambito sceglie le modelle e, senza mai truccarle o pettinarle apposta, le prepara alla seduta fotografica parlando loro di questa unica, ideale donna di sogno che vorrebbe esse incarnassero, fino ad accordare insieme – dice – “la musica delle nostre timidezze”. Così, tra gesti premeditati e atteggiamenti naturali, ne configura possibili momenti rubati.
Ma la sorpresa maggiore è scoprire che alle varie fanciulle abiti, gioielli e accessori è lei a prestarli, direttamente dal suo armadio personale: “In tutte le donne che fotografo io cerco la donna che preesiste, quella che io sogno. Chiamiamola Edwarda. Per questo cerco di cancellare tutto quanto possa riferirsi alla vita delle mie modelle, ai loro gusti e occupazioni. I gatti hanno sette vite, ed Edwarda ha cento, mille volti. Ma un solo guardaroba. Il mio. Perché Edwarda è il prodotto del mio immaginario, intimo come un’impronta digitale, carnale quanto una voce”.
Flaubertianamente, insomma: “Edwarda, c’est moi”. Magnifica ossessione.
Ferruccio Giromini
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #10
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