Chiedete il permesso prima di far dire “cheese”
La riproduzione del ritratto di un soggetto, così come di alcuni particolari a esso riconducibili e che lo facciano riconoscere al pubblico, è subordinata al suo consenso. La legge consente di poterne prescindere (anche) per fini culturali: nel 2010 la Corte di Cassazione ha voluto precisare i confini tra fini culturali d attività promozionali e pubblicitarie.
La normativa in materia di diritto d’autore prevede alcune norme particolari in materia di ritratto. In particolare, il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il suo consenso (art. 96 della legge sul diritto d’autore).
Il “ritratto” non viene inteso in senso solo strettamente fotografico, ma significa anche la riproduzione di parte di una persona o di un oggetto collegato ad essa che ne consentano il riconoscimento. Di conseguenza la necessità di ottenere il consenso per poi utilizzare il ritratto è, in teoria, estremamente frequente. Non occorre però il consenso quando la riproduzione dell’immagine è giustificata (oltre che dalla notorietà o dall’incarico pubblico ricoperto e/o da necessità di giustizia o di polizia) da scopi scientifici, didattici o culturali, oltre che quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o che si sono svolti in pubblico, salvo il caso in cui vi sia un pregiudizio alla reputazione per la persona ritratta (art. 97 della legge sul diritto d’autore).
Nelle ipotesi in cui la divulgazione dell’immagine avvenga per fini diversi, ovvero a scopo di lucro, la mancanza di consenso, da parte dell’interessato, rende illecito tale comportamento, obbligando l’autore anche al risarcimento del danno. Assume quindi una particolare rilevanza l’interpretazione che viene fatta della legge, in particolare quando consente la riproduzione senza consenso dell’interessato a fini culturali.
Nel 2010 la Cassazione civile ha deciso sulla legittimità della rappresentazione nella locandina pubblicitaria di uno spettacolo a pagamento di un prestigioso Teatro dell’Opera della foto di un ex alunno, senza che ne fosse stato richiesto il suo consenso. La Corte evidenziava che l’immagine era stata inserita nella locandina promozionale non di un “saggio” della scuola del Teatro, ma di un comune evento a pagamento, rientrante nella sfera delle normali attività teatrali.
Perciò, da tali elementi di fatto, la Corte decideva che l’immagine era stata utilizzata non per esigenze didattiche e culturali (che avrebbero legittimato il suo utilizzo anche senza consenso), bensì contenuta nel materiale promozionale e pubblicitario dello spettacolo, quindi per fine di lucro e a tale scopo utilizzata. La sentenza spiega la propria decisione precisando che ove si fosse inteso tale utilizzo dell’immagine lecito poiché volto a finalità culturali, si sarebbe giunti alla conclusione (errata, seconda la Corte) che qualsiasi evento a pagamento, nell’ambito delle arti e dello spettacolo, integrerebbe il presupposto culturale e didattico che consente l’utilizzo a fini promozionali, senza autorizzazione e compenso, dell’immagine altrui.
In conclusione, quindi, l’utilizzo dell’immagine personale effettuata a fini pubblicitari e promozionali senza consenso del diretto interessato costituisce lesione del diritto esclusivo all’immagine, provocando per chi è ritratto anche un danno risarcibile: la parte “lesa” dall’indebita pubblicazione della sua immagine ha infatti sempre il diritto al risarcimento dei danni patrimoniali, comunque quantificati almeno nella perdita dei vantaggi economici che avrebbe potuto conseguire se – essendogli stato chiesto il consenso alla pubblicazione – avesse potuto negoziarne la concessione e chiedere per essa un compenso.
Claudia Balocchini
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati