Lorenzo Vitturi al mercato di Dalston
Alla Photographer's Gallery di Londra approda l'ecletticismo di Lorenzo Vitturi, artista veneziano classe 1980. Esporrà dal 1° al 20 ottobre. Noi intanto lo abbiamo intervistato.
Esplosione di colore, mix composito di materiali africani ed esotici si combinano con frutti tropicali, un enorme tappeto blu con una riga,arancione fluo. Questo l’impatto iniziale che accoglierà il visitatore all’entrata della mostra alla Photographer’s Gallery. È il racconto della realtà di Dalston,uno dei mercati dell’East End londinese dove si incontrano commercianti,artisti e giovani professionisti della City.
Le sculture, prima realizzate e poi fotografate e ingrandite da Lorenzo Vitturi (Venezia, 1980; vive a Milano e Londra), traducono alla perfezione ilmix di culture londinese. E proprio dal mercato è partito Vitturi, dove per due anni ha incessantemente raccolto materiali di ogni sorta che si ritroveranno in mostra: dal pelo di animali alla frutta, dalle verdure alle plastiche, cercando persino di barattare con i commercianti le tavole usurate delle loro bancarelle.
Come sei arrivato a Londra?
Ho studiato in Italia, in un istituto di design a Roma, iniziando poi a lavorare nel cinema, conTinto Brass.Ero un giovanissimo apprendista che nei set migliorava giornalmente le proprie tecniche fotografiche: da lì è iniziata la mia passione per lascenografia.Una passione che ho poi riversato, dopo un anno in cui ho lavorato per la Disney, nei miei progetti fotografici. Quando ho deciso di lasciare quel lavoro, sono stato per due anni a Fabricadi Benetton, dove ho imparato molto, realizzando il sogno di lavorare per Colors Magazine. Due anni molto intensi in cui ho conosciuto grandi artisti e imparato molto.
Da lì ho capito l’importanza di raccontarecosa ci fosse dietro la macchina fotografica.Poi il mio arrivo qui, pur continuando a vivere tra Milano e Londra:per quasi cinque anni ho lavorato nella fotografia pubblicitaria. Infine la decisione di concentrarmi su me stesso e sul mio percorso, aprendo un miostudio in casa e iniziando una libera sperimentazione.
Un lavoro di sperimentazione che inizia dalla raccolta di materiale per le strade. Perché poi associare agli elementi materiali i volti delle persone?
Beh, il lavoro di sperimentazione nasce dall’esigenza di documentare la trasformazione di Londra così come di Venezia, la mia città. I materiali, molto poveri, non sono altro che l’abbandono di posti in trasformazione. Ogni giorno a Dalston si trovano pezzi di case e con esse pezzi di vita, perché le case vengono continuamente smembrate per dare spazio al nuovo.
Venendo dunquea contatto con le comunità, ho aperto gli occhi e ho capito che la sperimentazione in realtà doveva riguardare l’evoluzione della comunità. Ho deciso di descrivere il continuo cambiamento di Dalston e, attraverso questa, di tante altre aree, prima fra tutteVenezia, molto cambiata negli ultimi anni e in continua evoluzione.
La fusione delle discipline nella fotografia, in un equilibrio tra pittura, arte e sceneggiatura. Come ci sei riuscito?
Quel che aiuta a trovare la coerenza visiva del mio approccio eclettico è il colore: colore organizzato per cromie, che arricchiscono e definiscono le mie opere.
Colori che ti rappresentano?
Nonostante debba ammettere che rispecchia molto il mio periodo felice, in realtà l’esplosione di colore è la realtà del mercato di Dalston. Il mercato ha un suo alfabeto cromatico: dalle plastiche rosse, violente, ai cartelli fluo, accecanti. Un mercato in bianco e nero è inconcepibile.
I tuoi modelli ispiratori?
I primi, che rispecchiano la mia passione per il cinema, sono sicuramente Fellini e Greenaway, con il quale ho addirittura avuto la fortuna di lavorare come fotografo di scena. Materiale che è diventato la mia prima personale fotografica a Roma, incentrata sul lavoro sul set. E poi in ambito fotografico i punti di riferimento sono Luigi Ghirri e Joel-Peter Witkin.
La prossima sfida?
Probabilmente è l’Africa, perché attraverso il mercato di Dalston ho scoperto la sua essenza. Ho il progetto di scoprire la Chinatown della capitale nigeriana e credo che andrò a lavorare là a ottobre per avvicinarmi ancora di più al mix di culture che creano in maniera sempre nuova e inaspettata.
Flavia Zarba
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