Vevey Images. Un festival di fotografia diverso
Vevey, un villaggio svizzero sui bordi del lago Lemano. Invaso ogni due anni da un nugolo di mostre fotografiche in occasione del festival Images. Con un modo di fare unico nel suo genere.
68 progetti: 28 en plein air, 18 all’interno, 4 progetti internazionali, 6 progetti premiati con il Grand Prix International de Photographie de Vevey, 10 eventi paralleli e 2 progetti speciali. Artisti di 18 Paesi differenti. Quasi 1.500 immagini fruibili durante le tre settimane di festival. 350mila fotografie solo per l’installazione di Erik Kessels. Una fotografia di Arno Rafael Minkkinen di 500 mq. Tutti i progetti di Vevey Images sono stati studiati su misura per il festival, sotto il cappello di un tema, unico e multiforme: Specchio, riflesso e somiglianze incerte.
In un’epoca in cui la fotografia ancora subisce l’ostracismo dell’artworld nei confronti dei giovani fotografi che, prima di essere accettati in quanto artisti, devono produrre una serie nauseante di progetti puramente fotografici, Vevey Images si denota in modo serio e si allontana dai luoghi preposti della museografia.
Immagini gigantesche sui muri della cittadina, montagne che galleggiano sullo specchio del lago, fotografie esposte sui tetti visibili solo con un drone, installazioni che interrogano la fotografia senza utilizzarne il linguaggio; o ancora immagini che sorgono da sculture di carta, da alghe modificate in laboratori sotterranei. Tutto questo è il festival. Per anni il direttore Stefano Stoll è stato criticato proprio per questo gigantismo, ma la sua perseveranza ha fatto in modo che Images sorpassasse di gran lunga in originalità e competenza formale gli altri festival di fotografia.
Potremmo infatti chiamare Images un meta-festival, per la sua posizione chiara di andare al di là dell’immagine pura e fruibile. L’esposizione è fruibile in molteplici modi. Prima di tutto la cittadina e i suoi abitanti, che ogni due anni si ritrovano invasi da visitatori e immagini nascoste ovunque, diventando essi stessi personaggi fotografici. Vevey è una piccola città che si trasforma in una sorta di cartolina che fa il giro del mondo, citata in tutti i grandi giornali e che gode sempre di più delle migliori critiche.
Poi c’è il visitatore, colui che viene per fruire di questo bouquet magico di immagini. Un pubblico misto, che si differenzia da quello degli altri festival, che non ha per forza l’apparecchio fotografico intorno al collo o in bella vista. Images è un festival che fotografa il proprio pubblico e che si lascia volentieri fotografare. La cittadina è riempita di visitatori e diventa così uno scenario barocco dedito alla sorpresa e alla visita.
Poi gli studenti. Visite guidate, mediatori “volanti”, cartine degne di una caccia al tesoro. Il festival punta molto su questi elementi. Visitare Images è tanto hipster quanto da professionisti dell’immagine. Ma per ogni sguardo c’è il suo equivalente in fotografia. Installazioni che di primo acchito potrebbero sembrare più giochi per bambini si affiancano a lavori di una minuzia incredibile. Grandi star della fotografia si circondano di giovani quasi sconosciuti. La scelta è vasta, ce n’è quasi per tutti i gusti, ma senza mai scadere nel politicamente e mediaticamente corretto.
Per andare un po’ al di la del festival, possiamo sottolinearne la trasformazione semantica, quella “s” che all’inizio si voleva plurale, ma che è diventata una chiave di lettura storica dell’immagine al singolare. Stoll e la sua squadra sottolineano come attraverso una sola immagine si possa parlare di tutte le altre; in questo modo l’insieme del festival diventa un vivaio di riflessioni e di immagini al singolare.
Vevey nasconde alcune perle anche nel programma off, come l’esposizione collettiva nella hall del CEPV (la scuola di arti applicate, principalmente basata sulla fotografia), che per la prima volta non presenta semplicemente il lavoro degli studenti ma affida a due curatrici il compito di disegnare la linea della scuola attraverso immagini di studenti, ex studenti e professori. Una scommessa riuscita sotto tutti gli aspetti, che traccia un modus operandi tecnico e poetico di alto spessore.
Vevey nasconde anche esperimenti meno riusciti, come la realizzazione un po’ caotica e confusa del Gran Premio Internazionale della Fotografia 2013 nei locali del ex caffè delle Mouettes, che non riesce a essere convincente e non può essere considerato al livello che si richiede a un premio che si voglia di questo spessore.
Jean-Marie Reynier
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