Roma o della polarità inversa. Bartolomeo Pietromarchi su Marco Delogu
È appena uscito il nuovo libro di Marco Delogu, fotografo e direttore del Festival della Fotografia di Roma. Un volume edito da Punctum, che contiene due racconti di Jhumpa Lahiri ed Edoardo Albinati e altrettanti testi critici di Eric de Chassey e Bartolomeo Pietromarchi. Qui trovate quest’ultimo.
Al dodicesimo anno della Commissione Roma, Marco Delogu, che l’ha inventata, iniziata e curata per dodici edizioni come parte integrante del Festival della Fotografia di Roma, ha pensato che fosse giunto il momento di mettersi in gioco direttamente e di provare, questa volta, a raccontare Roma, la sua città, con lo sguardo di una persona che l’ha vissuta e la vive, dopo averla fatta raccontare ai più grandi fotografi nazionali e internazionali, con uno sguardo “dal di fuori”, di chi questa città non l’aveva mai vissuta. È stato così interessante e stimolante scoprire come Josef Koudelka, Olivo Barbieri, Anders Petersen, Martin Parr, Graciela Iturbide, Guy Tillim, Alec Soth, Tim Davis e altri, vedessero questa città cogliendone ogni volta un aspetto diverso, dettagli sorprendenti e inaspettati, ribaltamenti di cliché, visioni dall’alto del cielo e dal basso di un marciapiede, ma sempre e comunque “sguardi estranei”.
Nella serie delle lune e dei soli neri che Delogu presenta come Commissione Roma di quest’anno [il 2014, N.d.R.], si percepisce al contrario uno sguardo di qualcuno che questa città la conosce “dal di dentro”, nella sua natura più intima, nella sua bellezza e nella sua inerzia. Una ricerca che parte dalle contraddizioni di una grande città e dalla sua “polarità inversa”. Attraverso la particolare luce di Roma e l’inversione dei suoi valori, Delogu ne racconta la sua dimensione fuori dal tempo e al di là dello spazio. Un’inversione che mostra l’eccesso di luce che ha reso queste fotografie diurne “cieche”, dove ogni cosa è stata inghiottita dal bianco, come fosse il buio della notte, dove sono rimaste solo insegne appese nel vuoto che dicono più che far vedere.
Nei paesaggi illuminati solo dalla luce flebile della luna, le fotografie notturne, le cose appaiono al limite della loro presenza fisica, sfiorate dalla luce tenue e incerta della luna, come sul punto di scomparire. In entrambi i casi siamo di fronte ad “apparizioni” più che a immagini. Come nei contorni sfumati del sogno, tutto qui perde di fisicità, inondato di luce o appena percepibile nella penombra di un’immagine lievemente mossa. Una dimensione onirica che rende tutto irreale, sospeso nel tempo e nello spazio. Proprio attraverso queste apparizioni, Delogu racconta la città: le insegne e i frammenti urbani appaiono sospesi e improvvisi. Ogni elemento riaffiora da una memoria lontana fatta di cinodromi, cinema ormai in disuso, mitici luoghi ai bordi del fiume, tutti carichi di storie. Immagini sfumate, come qualcosa di cui si sta perdendo il ricordo. È così che appaiono queste ambientazioni notturne illuminate dalla luna.
Nel silenzio della notte di luna piena tutto appare irreale, diventa la scena di un teatro della notte in attesa dei suoi personaggi, in attesa che qualcosa accada. Nel silenzio degli acquedotti dell’Agro Romano così come nei parchi delle ville storiche o sul colle del Palatino, vagano i fantasmi di personaggi che non si sa più se sono reali o solo narrati, se sono storici o solo immaginati. Ecco la Roma di Marco Delogu dove “la notte s’è fatta giorno e il giorno è divenuto notte”. La polarità inversa di una luce e di un luogo che inverte tempo e spazio e dove la luce e il mito, la storia e la natura, inghiottono il reale e lo trasformano in una grande apparizione.
Bartolomeo Pietromarchi
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