L’occhio radicale del collezionista. Le fotografie di Elton John alla Tate di Londra
Sono racchiuse in raffinate cornici d’oro e d'argento, l’una diversa dall’altra: gli scatti che compongono “The Radical Eye: Fotografia modernista dalla collezione di Sir Elton John”, allestita alla Tate Modern di Londra, parlano di un celebre appassionato d'arte. Un artista che dice addio all'alcool e scopre la fotografia come fonte d'ispirazione per ogni giorno. Una mostra, una sorpresa, un esempio.
“Per me, ciascuna di queste fotografie è fonte d’ispirazione per la mia vita; sono esposte sulle pareti di casa, e le considero gemme preziose. Guardandole, voglio che le persone pensino: ‘Non avevo mai visto qualcosa di simile prima, e non pensavo potesse esistere’: ciò che ho pensato io, nel momento in cui ho incontrato ciascuna di esse”. Chi l’avrebbe mai detto che Sir Elton John, pop star, uno dei nomi della storia della canzone dei tempi correnti, avesse una collezione di fotografia – ebbene sì – tra le più importanti al mondo per qualità ed estensione? Un corpus di opere firmate dalle stelle più fulgenti del genere: da Man Ray a Dorothea Lange, da László Moholy-Nagy a Edward Weston.
Ogni immagine, se non allineata lungo le pareti di una delle case del collezionista e del marito, David Furnish, è conservata e ordinata in archivio: un lavoro che tiene attivo una curatrice, Jane Jackson, e diversi conservatori, con la supervisione del direttore Newell Harbin. Di fotografie vintage ce ne sono ottomila. La Tate ne ha chiesto in prestito circa duecento; sono in una delle sale della Switch House, la nuova ala della Tate Modern. Tanto basta per avere un assaggio, soddisfacente per qualità, di stampe vintage oggi quasi introvabili. Un mini-corso di storia della fotografia dagli Anni Venti ai Cinquanta, divisa in cinque sezioni.
OGGETTI, PROSPETTIVE, ASTRAZIONI
“Capisci che i punti di vista più interessanti per la fotografia moderna sono dall’alto in basso e dal basso in alto, e qualsiasi altro che non sia al livello dell’ombelico?”, ha scritto Aleksandr Rodchenko, di cui il percorso propone degli scatti storici: Shukhov Tower (1927) e un piccolo collage con Varvara Stepanova (Be Ready!, 1934). In gergo worm’s eye e bird’s eye, tali prospettive permisero nel primo Novecento di ricreare un mondo che, sempre secondo il poliedrico artista russo, potesse offrire “punti di vista impossibili da ottenere col disegno e la pittura”. Nella sezione Oggetti, Prospettive, Corpi, alla Tate il quotidiano è osservato e reificato attraverso nuove forme: il mezzo fotografico diventa filtro prediletto per una sperimentazione che non riesce a prescindere dal supporto e dalla tecnica, eppure legato alla sensibilità creativa di chi scatta.
DOCUMENTI
Non solo opere estetizzanti, o interessate all’avventura oltre i limiti del mezzo artistico. La fotografia fa la storia del realismo o dell’artificio generato da un’attenta, autoptica osservazione del mondo. L’intenso ritratto di Dorothea Lange, Migrant Mother (1936) domina la sezione Documenti: è un’istantanea della sofferenza universale, colta lungo le strade del mondo. Altro punto di vista quello di Helen Levitt, in una metropoli astorica (New York, 1939), descritta nei suoi elementi essenziali: asfalto, edificio, pompa idraulica, figura umana.
ESPERIMENTI
Sensibilità artistica, sensibilità del supporto: la carta fotosensibile riesce a catturare luce e materia, segnando nuovi orizzonti per la rappresentazione del quotidiano. “La salvezza della fotografia viene dall’esperimento”: così ha scritto Moholy-Nagy, e l’artista ungherese non poteva saperlo meglio. I suoi fotomontaggi, da lui ribattezzati fotoplastici, hanno fatto la storia della fotografia. Così come i suoi fotogrammi, inventati quasi simultaneamente insieme a Christian Schad e Man Ray. Quest’ultimo fa la parte del leone nella mostra, con diversi scatti: le cosiddette rayografie, ovvero i suoi fotogrammi, e diverse fotografie solarizzate; una tecnica, la solarizzazione, scoperta per caso dalla collega-musa Lee Miller. Esempio celeberrimo, il ritratto di Dora Maar (1936).
CORPI
Il corpo come linguaggio, come fotografia: la storia del nudo fotografico è fatto da uomini e da donne rivoluzionarie. Sono la democraticità della camera e l’emancipazione delle donne nel mondo dell’arte nel Novecento a tracciare nuove traiettorie della rappresentazione. Gli scatti di Dora Maar (Il ballerino Alberto Spadolini, 1935) mostrano modelli investiti di una caratterizzazione di genere più fluida; mentre Ilse Bing pensa al corpo in movimento in termini scultorei, un’immagine di pathos estatico (Ballerino, Willem van Loon, Parigi, 1932). Sono entrambe lontane, quasi antagonistiche, rispetto alle estetiche dei fascismi europei degli stessi anni.
RITRATTI
“Niente ha testimoniato la giustezza del Surrealismo più della fotografia”, disse Salvador Dalí; motivo per cui un’opera di Harry Callahan (Detroit, c. 1942), un ritratto femminile sovresposto su una scena campestre, ben si accosta all’iconico, surrealistico montaggio di Herbert Bayer (Lonely Metropolitan, 1932). Il ritratto, infine, è la registrazione di un atto performativo: una galleria di illustri, immortalati da Irving Penn, Edward Weston e Johan Hagemeyer lega, in un rapporto di interdipendenza, l’autorialità del fotografo all’autodeterminazione del modello (Penn, Salvador Dalì, New York, 1948). La vita pubblica (e privata) di Elton John, non diversamente dalla nostra, è una performance esposta all’occhio della camera. Era lo stesso per i modelli ritratti: forse consci di poter diventare, un giorno, idoli protetti da cornici argento e oro.
Elio Ticca
Londra // fino al 7 maggio 2016
The Radical Eye
a cura di Shoair Mavlian, Newell Harbin e Simon Baker
TATE MODERN
Bankside
+44 (0)20 78878888
[email protected]
www.tate.org.uk
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