Per Prada la fotografia è un affare di famiglia
La mostra inaugurale presso l’Osservatorio Prada guarda all’arte dello scatto nella sua dimensione intima e attivatrice di memoria. Affidando a un’azzeccata selezione di artisti il compito di mettere in contatto il terreno del ricordo con le logiche comunicative attuali.
Una delle espressioni più naturali della fotografia è stato per oltre un secolo l’album di famiglia, quell’oggetto che veniva mostrato all’ospite di turno per creare una sorta di memoria condivisa e che in taluni rari casi è stato anche lavoro di ricerca artistica, così per Jacques-Henri Lartigue, il quale narra della sua vita quotidiana, di sapore proustiano, in particolare lungo la prima parte del XX secolo, ma che arriva alla notorietà solo negli Anni Sessanta.
E quindi nella nostra epoca fatta di digitale, di smartphone, il tema è più che mai alla ribalta, ognuno porta con sé le immagini dei figli, dei genitori, degli animali domestici. Francesco Zanot, curatore della prima mostra dell’Osservatorio Prada, ha scelto di aprire con questo tema: “Sulla scorta di queste esperienze già storicizzate, dagli Anni Duemila una nuova generazione di fotografi, impegnati a investigare il proprio universo privato, è cresciuta parallelamente alla proliferazione di piattaforme digitali basate essenzialmente sulla condivisione di immagini”. L’argomento attorno al quale ruota Give me Yesterday, in cui è presentato il lavoro di 14 artisti, è particolarmente in linea con il nostro tempo storico. Un tempo in cui furoreggiano i social, da Facebook a Instagram, dove il privato diviene pubblico.
LACRIME, ALBUM E ORIZZONTI
L’olandese Melanie Bonajo si è fotografata ogni volta che ha pianto tra il 2001 e il 2011: dieci anni di lacrime. Le fotografie sono dei selfie, immagini semplici. Non è certo questa una mostra sulla qualità dell’immagine fotografica, anzi. Il portoghese Tomé Duarte ha realizzato il lavoro esposto in una sola giornata del 2015. La fidanzata lo lascia e lui si traveste con gli abiti della donna e si fotografa: un’operazione che tanto somiglia a certa Body Art. La sudafricana Lebohang Kganye inserisce la propria immagine in alcune fotografie pescate dall’album della madre, appena scomparsa. Qui il ricordo va al lavoro di un’artista italiana non presente in mostra, che ha, tuttavia, lavorato con intelligenza su questo tema: Moira Ricci.
La madre colta in momenti ufficiali e decisamente ufficiosi è il tema del lavori dell’americano quarantenne Leigh Ledare. La quotidianità dell’entourage di Wen Ling è il soggetto del primo blog fotografico cinese, Ziboy.com, inaugurato nel 2001. Il tema rimanda a quello dei lavori di Ryan McGinley, che dal diario passa poi alla fotografia in posa, con un’operazione apparentemente contraddittoria.
La mostra chiude con il grande lavoro di Antonio Rovaldi, Orizzonte in Italia, in cui la dimensione biografica si fonde con quella paesaggistica. L’artista, infatti, ha compiuto due lunghi viaggi in bicicletta, il primo nel 2011, percorrendo il perimetro del nostro Paese, e il secondo, nel 2014, lungo la costa della Sardegna. Durante i due viaggi Rovaldi ha scattato centinaia di immagini all’orizzonte, che qui sono parzialmente mostrate. Si viene a creare una linea quasi ininterrotta fra mare e cielo, che racconta la sua storia di viaggiatore e quella geografica del nostro complesso Paese.
L’OSSERVATORIO
Lo spazio espositivo è entusiasmante: collocato agli ultimi due piani di un grande ambiente della Galleria Vittorio Emanuele II, struttura architettonica di ferro progettata da Giuseppe Mengoni negli Anni Sessanta dell’Ottocento, emblema della novella Italia Unita. Grandi vetrate permettono di vedere la cupola della galleria a distanza ravvicinata. Il percorso espositivo, molto razionale, si snoda così fra vecchio e nuovo: un vero e proprio osservatorio sui diversi momenti dell’esistenza.
Angela Madesani
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