Mario Cresci e la fotografia del no. A Bergamo
GAMeC, Bergamo – fino al 17 aprile 2017. Oltre cinquant’anni di visioni e analisi, per una ricerca che ha saputo indagare l’antropologia e il sociale, la storia dell’arte e il concettuale. Bergamo omaggia il suo figlio (adottivo) Mario Cresci.
Non è un caso che a curarla – insieme a Cristina Rodeschini, direttrice dell’Accademia Carrara – ci sia proprio lui, Mario Cresci (Chiavari, 1942; vive a Bergamo). Insieme protagonista e curatore di una mostra che mette insieme, in sezioni che non propongono rigide cronologie, ma assonanze intime, cinquant’anni e oltre di lavoro, in un allestimento molto sobrio tra i due piani della GAMeC.
La fotografia del no 1964-2016 – titolo che cita Goffredo Fofi – è infatti un percorso intimo di ricostruzione e analisi di tracce differenti, affiancate senza tener conto delle cronologie ma prendendo in considerazione le analogie tra fasi differenti della ricerca, tra concettuale, analisi sociale, allenamento dello sguardo e militanza del pensiero, come emerge anche dall’articolato catalogo edito per l’occasione.
Un percorso tra nord e sud e nuovamente orientato verso nord nei decenni più recenti – dalla Liguria a Venezia e Roma, da Matera a Bergamo –, quello che si rintraccia nelle sale del museo bergamasco: due culture, che compongono il panorama italiano, appartenenti alla biografia e allo sguardo di Cresci. Fotografo atipico, che si è formato con più passione su Duchamp che sui classici della fotografia, analizzando il mezzo come un linguaggio da mettere in gioco, da analizzare e declinare di volta in volta. Lo strumento diventa quindi medium che consente visione, prospettiva di sviluppo di un pensiero.
LE LINEE DI UN’INDAGINE
L’etnografia, l’antropologia, l’umano, la terra, il rapporto con ciò che è intenso e ancestrale, la visione, la concezione di uno sguardo che si è confrontato costantemente con l’esterno, con la fantasia e la poeticità delle persone: la mostra racconta tutto ciò.
Nell’estate del 1967 Cresci avvia una collaborazione con un gruppo di urbanisti e architetti che da Venezia si erano trasferiti a Tricarico, in Basilicata, per lavorare al piano regolatore del paese. Era stato infatti incaricato di fotografare il centro abitato e gli interni delle case e di riflettere sulla storia delle famiglie comuni di quei luoghi. Nasce così un pregnante e continuativo lavoro di ricerca, un archivio prezioso in cui confluiscono storie private, immagini di piccoli e umili universi domestici, intrecci di vite anonime che posano vicino ai reliquiari fotografici della propria famiglia, custoditi con cura perché testimoni di attimi fondamentali o delle persone che non ci sono più.
SPAZIO AL DISEGNO
Da allora, naturalmente, la ricerca di Mario Cresci si è mossa su diversi crinali, ha indagato l’immagine sempre attingendo dall’osservazione del reale e da un meditato e intellettuale sguardo alla storia dell’arte, proseguendo così la sua sofisticata “catalogazione” e “misurazione”. E nella sua fotografia c’è spazio anche per il disegno, come rivela il ciclo D’après del 1985, in cui – partendo dalle fotografie di nomi storici – realizza delle copie, nelle quali i percorsi segnici rivelano mappe mentali ulteriori. L’inciampo di senso, lo scrutare negli interni (come nel ciclo delle Transizioni, 1967-2016), oppure il mondo esterno, il dramma della storia e delle guerre, che transita inesorabilmente (Metafore, 2013-16), in cui uomini senza identità anagrafiche definite indossano coperte termiche, simbolo di un temporaneo ristoro post salvataggio. Questi sono solo alcuni dei momenti in cui si articolano il lavoro – e la mostra – di Cresci.
“Ci sono molti modi di leggere queste foto, ma infine riconducibili, per me, a uno. L’itinerario di un artista, dal design e dal disegno alla foto: una sperimentazione accanita dai risultati limpidamente ricostruibili. Il bisogno di confrontarsi con una realtà che non gli appartiene ma che diventa man mano la sua”: parole di Goffredo Fofi (1980) che bisogna nuovamente mettere in campo per sintetizzare la lunga storia di Mario Cresci.
– Lorenzo Madaro
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