Per una sensualità libera. Betty Page in mostra a Milano
Expowall, Milano - fino al 27 maggio 2017. Icona di un immaginario dominato da atmosfere sensuali ed esplicite, la pin-up Betty Page ha fatto storia grazie al talento nel tradurre in pose disinvolte e leggere i desideri di un'epoca. Ora Milano le rende omaggio, con una mostra di scatti custoditi dalla collezione di Maurizio Rebuzzini.
Altro che fenomeno delle “cinquanta sfumature”, la storia ci aveva già offerto un “caso” molto più interessante e significativo sul tema bondage: le fotografie degli insospettabili Anni Cinquanta che ritraggono la modella Bettie Page, meglio nota come Betty Page.
Alta 1 metro e 65, formosa, occhi blu e capelli neri corvino, sfondò come modella pin-up nella puritana America del dopoguerra, grazie al suo sorriso ammaliante, alla sua passione per il lavoro da modella e al suo talento nel posare. Ma anche per un particolare che la distingueva dalle altre: una frangetta che le adornava il viso, suo marchio di riconoscimento per tutta la vita.
Lavorò solo dal 1950 al 1957, ma questi sette anni le bastarono per diventare un’icona di un immaginario, quello erotico/ironico, che le costò anche un processo voluto da una commissione antipornografia. Betty Page posò per fotografi amatoriali e professionisti, vestita e in bikini, in biancheria e nuda. Nel 1955, con la fotografa Bunny Yeager conquistò, svestita da Babbo Natale, il paginone centrale di Playboy. Lavorò per i Camera Clubs, per i girly magazine e per i fratelli Klaw (Irving e Paula), noti per la vendita di fotografie di attori e pin-up per corrispondenza.
Furono questi ultimi a proiettarla nell’immaginario erotico e bondage, rendendola protagonista di una serie di immagini in cui posava in lingerie, con abiti fetish, con tacchi vertiginosi, vestita di latex, tra fruste e bustini. Si trattava di richieste “ad hoc”, di una numerosa e particolare clientela di professionisti, che rispondevano a una precisa fantasia: quella di vedere rappresentati desideri sessuali ritenuti poco convenzionali e dalla maggior parte dell’opinione pubblica giudicati addirittura “osceni” (ecco perché il processo succitato). Per Betty Page e i fratelli Klaw, al contrario, erano semplicemente alcuni dei mondi possibili da rappresentare. Oggi queste fotografie sono riunite nella mostra Scabrosa e sorridente Betty Page, presso la galleria Expowall di Milano, nell’ambito del circuito espositivo di Photofestival.
LA MOSTRA E LA COLLEZIONE
La mostra propone più di ottanta fotografie (riproduzioni di varie dimensioni) della collezione di Maurizio Rebuzzini, direttore della rivista FOTOgraphia e docente di Storia della Fotografia presso l’Università Cattolica, oltre che uno dei più grandi appassionati italiani del fenomeno Betty Page. Non solo, il suo studio è anche scrigno di fotografie vere e proprie, come quelle di Betty Page scattate dai fratelli Klaw (anzi, per la precisione, da Paula, come pochi sanno) di cui ha ricordato: “Le ho acquistate nel corso di vent’anni a partire dagli Anni Ottanta, soprattutto a New York, e la maggior parte da Paula Klaw”. Sono tutte stampe in bianco e nero 10×13 cm con soggetto centrato, fotografie ambientate in set casalinghi, la cui scena è interamente affidata alla modella, realizzate con una “flashata” (come si dice in gergo), con le ombre ben evidenti, non curate e prive di accorgimenti tecnici e artistici. Lo conferma lo stesso Rebuzzini: “Nessuna abilità compositiva, né interpretativa, né capacità in camera oscura, là dove la sapiente applicazione di sviluppo e stampa ha prodotto le perle che definiscono la Storia. Sviluppi dozzinali, chimici esauriti o inadatti, pellicole rimediate in saldo: tutto per ridurre al minimo indispensabile i costi di produzione con conseguenti maggiori guadagni e congrua redditività d’impresa”. Dunque immagini prive di un valore prettamente fotografico.
Eppure queste immagini un valore lo hanno. Un valore dato dal mezzo fotografico usato come strumento di documentazione di un’epoca. Un valore come testimonianza dell’espressione umana anche quando non artistica.
Una delle particolarità di questa collezione privata, composta da ben 489 fotografie, è che non comprende solo immagini di Betty Page ma anche di sue colleghe sconosciute non in circolazione. Il confronto tra le sue fotografie con quelle delle altre modelle, scattate negli stessi ambienti e nelle stesse situazioni, mostra come Betty Page fosse dotata di un insuperabile talento nel posare. Era una modella straordinaria, capace di dialogare con qualsiasi fotografo e di darsi al massimo in ogni circostanza.
IL VALORE DELLA LIBERTÀ SESSUALE
Era una fuoriclasse. Dominava la scena. La sua energia trapassava l’obiettivo. Il suo sorriso invadeva l’immagine. Aveva una luce che le altre non avevano. La foto era lei. La sua sottile e celata ironia rendeva tollerabile qualsiasi gioco erotico. Altro che Anastasia Steele… Betty Page non si prendeva mai sul serio e dava fisicità ai desideri del mondo BDSM interpretando giocosamente qualsiasi richiesta.
Tutto ciò determina il valore di queste fotografie degli Anni Cinquanta: esse testimoniano come i costumi sessuali e la loro rappresentazione siano da sempre una narrazione dell’umanità. E ricordano come in tema di sessualità non prettamente convenzionale si urli da sempre allo scandalo e se ne dimentichi la storia. Prima di Betty Page c’erano stati i fumetti di Eric Stanton, additati anch’essi, e dopo Betty Page ci sarà Helmut Newton, che tanto si ispirerà all’immaginario dei Klaw, anche lui ritenuto da molti un erotomane.
Dunque la storia si ripete nel dimenticare che la libertà sessuale è una delle espressioni della libertà umana e che l’uomo ha bisogno della sua raffigurazione, così come ha bisogno della fotografia d’arte, dei ritratti e dei reportage…
Avere una fotografia di Betty Page sulle proprie pareti è come aderire a un manifesto di libertà testimoniato da una leggendaria Speed Graphic.
– Lorenza Fruci
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati