Uno sguardo antropologico sulla realtà. Cecilia Mangini a Roma
Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, Roma – fino al 10 settembre 2017. In mostra per la prima volta nella Capitale oltre duecento scatti in bianco e nero della fotografa e documentarista Cecilia Mangini. Un racconto di un’Italia lontana, ma profondamente contemporanea.
Il nero e il bianco che affiorano dalle fotografie di Cecilia Mangini (Mola di Bari, 1927), traggono origine della realtà dolente del sud, di un meridione lontano, di un passato recente, terra di indagini e di incontri che hanno visto negli studi alti e complessi di Ernesto De Martino una pagina considerevole del pensiero antropologico contemporaneo. I visi ritratti dalla Mangini, precocemente invecchiati, di donne e uomini appartenenti alla “cultura della miseria” (O. Lewis, 1967) che, in un tempo lontano, affidavano alla magia e alla superstizione le aspettative e le ansie di una vita quotidiana, appaiono ora immobili nell’illo tempore.
Con sguardo severo, attende la donna ritratta a Mola di Bari nel 1958. In ginocchio sulla sedia di legno e di paglia, prega davanti ai simulacri del lutto, in un ambiente ristretto e domestico in cui la luce tagliente del sud invade lo spazio senza soffocarlo, delineando geografie quotidiane, dove un occhio attento può scorgere le figure agiografiche stampate su carta, fisse nel loro eterno esserci in una domesticità protetta.
TRA SUD E NORD
Ed è forse questo il tempo dell’attesa e della colpa, di vecchi seduti contro un muro candido di calce da cui riaffiorano i necrologi sinistri del tempo trascorso, di biografie anonime e sbiadite.
Ma queste istantanee si confrontano con i sussulti di vita, narrati quasi fosse una funzione ecfrastica, associata all’icona, all’immagine, alla fotografia stessa nella sua potenza di inesorabile dissolvenza nel tempo, come nel reportage alle cave di Lipari nel 1952, in cui il bianco accecante diviene l’emblema della storia iconografica dell’Italia del Sud, per poi contrapporsi qualche anno più tardi con la città composita di Milano. Qui appaiono, nella rete urbana della metropoli del nord Italia, i segni contraddittori della civiltà consumistica, ancora profondamente ingabbiata tra le macerie della guerra, al cui sfumato orizzonte si intravede lo scheletro nascente di un architettura contemporanea, informe nella sua struttura, lontana delle costruzioni immacolate della Puglia contadina di mura bianche e di vicoli stretti.
L’INCONTRO CON PASOLINI
L’attenzione alle periferie urbane è consolidata dall’incontro con Pier Paolo Pasolini, insieme al quale la Mangini indaga, con occhio antropologico, le dinamiche sociali e le profonde trasformazioni, ponendo l’accento non solo sul ritratto, ma innalzando lo sguardo allo spazio circostante. Sono queste le istantanee con Pasolini, i quartieri lontani, le piccole piazze, distanti da un centro che diviene voragine nell’anima, sospesi in un eterno e instabile fluire del tempo.
La Mangini non ha mai cercato di interpretare la realtà della società contadina del sud, ma invece ne svela con profonda maestria tutte le strutture portanti, le radici arcaiche, svincolandole da ogni esito formale e da ogni riferimento temporale preciso. Solo il tempo del lutto (Stendalì. Suonano ancora, 1960), ponendosi come tempo altro e metastorico, è la sintesi estrema della coscienza fotografica.
– Fabio Petrelli
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