Fotografia al femminile. Intervista a Viviane Sassen
La mostra di Viviane Sassen alla Galleria Carla Sozzani di Milano racchiude dieci anni di attività dell’artista olandese. Era sua la firma del drammatico lavoro sull’Africa presente alla Biennale di Venezia del 2013, curata da Massimiliano Gioni.
Il tema della mostra milanese è ampio: la donna, il concetto di femminile. Il tuo è uno sguardo complesso, articolato. Le tue foto hanno una valenza metaforica?
Ogni singolo lavoro è come una parola, che, in relazione ad altre parole e ad altre immagini, dà vita a un poema. Il contesto è determinante.
Importanti sono anche i titoli dei tuoi lavori.
Mi interessa sottolineare ambiguità e paradossi di ciò che mi circonda. Non mi interessa fare dichiarazioni, proclami. Il mio è un approccio intuitivo.
Il tuo non è un lavoro facilmente classificabile. Affronti diverse tipologie di linguaggio, un po’ come Wolfgang Tillmans.
Anche io percepisco una certa affinità fra il mio lavoro e quello di Wolfgang Tillmans. Penso che la libertà di esprimersi e di sperimentare sia una delle cose più importanti per me. Mi interessa molto esplorare le diverse opportunità del mezzo fotografico, superare una dimensione prettamente estetica, non vorrei che il mio lavoro fosse collocato in una determinata categoria: moda, corpo, sociale.
Inoltre mi pare si possa uscire anche da una dimensione prettamente fotografica: alcune delle mie foto potrebbero essere lette in chiave tridimensionale, scultorea.
Tra i lavori esposti ce n’è uno con una fossa nella terra, che rimanda a un ambito di morte. C’è forse un riferimento alla violenza nei confronti delle donne?
Con un’immagine di questo tipo vorrei stimolare il pensiero della gente. È un riferimento archetipico al femminile, la terra, il buco.
Il culto della Madre Terra, gli antichi riti di fertilità…
Questa immagine, come dicevi, è legata alla morte, questa è una tomba che sta per essere riempita con il corpo di una donna quarantenne, morta di AIDS. L’ho scattata in Zambia, dove ho partecipato al funerale. La famiglia mi aveva concesso di scattare delle foto. Inoltre, prima della sepoltura, ho seguito i riti di preparazione del corpo da parte delle sue amiche e delle sue parenti. Sono andata con loro nella terra recintata dove preparano, colorano, vestono il corpo per l’ultimo viaggio. Questa foto è legata al concetto di “sorellanza”, di solidarietà fra donne.
Un’immagine con un pellicano rosa acciambellato su se stesso comunica un senso di dolcezza.
È anch’esso una metafora della fertilità femminile, dell’utero.
Che senso ha oggi, in un momento così particolare nella storia delle donne, che un’artista donna dedichi una mostra al corpo femminile? Qual è il significato vero, recondito? Non è certo soltanto un problema di natura iconografica.
Mi pare di cogliere, proprio nell’odierna società, una nuova visione legata alla sorellanza tra le donne. Negli Stati Uniti, a Washington, c’è stata una grande marcia ‒ 500.000 presenze ‒ di donne contro Trump. È un femminismo rinnovato. Mi pare di cogliere un altro modo di vivere la femminilità. Una nuova sorellanza tra donne.
Un sentimento di unione tra le donne?
È un nuovo modo di affrontare anche il tema della sessualità, dell’omosessualità. Anche il movimento lesbico, omosessuale sta cercando di spostare i confini quali sono stati fino a ora, c’è un nuovo modo di affrontarli. Vi è anche molta più informazione.
Forse in Italia siamo ancora un po’ indietro in tal senso.
Anche guardando su scala mondiale, per esempio in India, le donne stanno cercando di superare la violenza, la prevaricazione maschile. Sia ben chiaro, però, che questa mostra non è una dichiarazione di natura politica. Mi piace prendere in esame gli archetipi della femminilità: la maternità, l’allattamento, le azioni prettamente femminili. È un’indagine di un sentimento interiore
‒ Angela Madesani
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