I corpi segreti di Araki. A Vicenza
Fondazione Bisazza, Montecchio Maggiore ‒ fino al 3 dicembre 2017. Più di settanta fotografie in cui il noto artista giapponese Nobuyoshi Araki apre al pubblico il suo “diario” visivo, introducendolo nel suo universo e svelando tabù e desideri reconditi. Siano donne in pose audaci, fiori carnosi, edifici decadenti, l'artista pare guidato dal desiderio di smarrirsi nel soggetto che sta riprendendo. Fra modernità e tradizione, consumismo e spiritualità.
“Avrei voluto fotografare solo la vita, ma ogni volta che scatto mi avvicino alla morte. Perché fotografare è come fermare il tempo, è in fondo un omicidio”. Parole che sembrano prese direttamente da La camera chiara di Roland Barthes e che invece sono state pronunciate da quel collezionista instancabile e disperato di attimi che è il fotografo giapponese Nobuyoshi Araki (Tokyo, 1940). Per lui ogni ora, ogni corpo, ogni angolo della sua città sono degni di essere registrati e consegnati a una sorta di presente eterno e immutabile. La sua è un’infinita lussuria del vedere e del fotografare che pare inseguire l’identificazione totale tra sguardo e obiettivo, tra fuga del tempo e fissità dell’immagine. È così soprattutto quando inquadra nudi femminili estremi: donne nude, al bagno, a letto, donne dei quartieri a luci rosse di Shinjuku, donne con i corpi imprigionati dalle corde, secondo l’antica tecnica del kinbaku, donne qualunque, adolescenti, anziane, prostitute, aristocratiche, specialmente donne enigmatiche, indecifrabili nella loro sessualità goduta e insieme subita. Lo afferma lo stesso Araki: “Le donne mi interessano molto, perché sono misteriose e perfide. A volte madonne a volte puttane”. Qual è la loro vera essenza, che cosa si nasconde dietro il loro sguardo enigmatico?
BLOCCARE LA BELLEZZA
Gli scatti non possono mai essere neutrali fino in fondo (come quelli di Warhol): l’apparecchio non è più una semplice protesi che registra passivamente il mondo femminile, ma ogni volta sembra planarvi dentro, toccarlo, alla pari di una mano che afferra “materia visiva”. Non è un caso che, come qui ci mostra un video, i set di Araki siano vere e proprie performance, in cui l’artista mette in posa le sue modelle come fossero bambole inerti o manichini perturbanti alla Bellmer. Ma poi ci sono i Flowers, colti al massimo del loro fulgore, proprio prima di cominciare ad appassire; ci sono le immagini di Tokyo con le sue rovine e le sue nuove costruzioni: segni di sottrazione e di aggiunta, di apparizione e scomparsa. È il tema ricorrente della poetica di Araki, sottolinea il curatore Filippo Maggia: bloccare cioè la bellezza nell’attimo in cui celebra se stessa, “nell’istante infinitamente piccolo che sta tra la vita e la morte”.
LE SERIE
Le 70 fotografie esposte alla Fondazione Bisazza appartengono a diverse serie ‒Sentimental Journey, Kaori, Painting Flowers, Suicide in Tokyo, ecc. ‒ e raccontano, come in un diario, il fatale bisogno di Araki di svelare i segreti dei corpi e delle immagini. Perfino quelli che riguardano il suo stesso essere, come nella raccolta del 2013 (Love on the Left Eye), dove le fotografie sono cancellate nella parte destra a testimonianza della perdita delle vista proprio nel suo occhio destro. Non mancano neppure tredici inediti realizzati nel 2009 per l’azienda, in cui l’eleganza oscura della cultura giapponese si combina con i preziosi mosaici. È come se anche un set sfavillante potesse accogliere passioni indicibili e desideri inappagati. In fondo, dice sempre Araki: “L’arte per essere viva deve essere un miscuglio di sesso e di sacro”.
‒ Luigi Meneghelli
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