Venezia si prepara a celebrare 40 anni senza Peggy Guggenheim. La sua storia in 8 foto

Chi era Peggy Guggenheim? Ecco la sua storia in 8 immagini che ripercorrono le tappe fondamentali della sua vita: dagli amori alla sua attività di mecenate, da New York a Venezia.

Peggy Guggenheim

Peggy Guggenheim nella camera da letto di Palazzo Venier dei Leoni; alle sue spalle Alexander Calder, Testiera di letto in argento (1945-46, PGC); Venezia, anni ’60. Fondazione Solomon R. Guggenheim. Photo Archivio CameraphotoEpoche. Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005

La storia di una donna che ha contrassegnato l’arte del secolo scorso. Con il suo lavoro e la sua passione sostenne moltissimi artisti, tra i quali un giovane espressionista astratto di nome Jackson Pollock, allora ancora poco conosciuto al grande pubblico. Dagli Stati Uniti arrivò a Parigi poi ancora a New York e infine nella amata Venezia con cui ebbe un rapporto strano, particolare -come avviene per tutti i grandi amori. Lei è Peggy Guggenheim (New York 1898 – Camposampiero 1979) gallerista, collezionista, mecenate, nipote di Solomon R. Guggenheim. Nel 2019 ricorreranno 40 anni dalla sua morte.
Con il suo carisma e il suo stile eccentrico Peggy ha sicuramente influenzato non solo generazioni di artisti, ma anche i propri eredi. Ad esempio i nipoti che hanno ovviamente seguito le sue orme. L’arte come impronta di famiglia – d’altronde come poteva essere diversamente quando il cognome Guggenheim è ormai un brand d’arte nel mondo? Il nipote Santiago Rumney Guggenheim ha appena aperto una galleria anticonvenzionale in Messico, la IK LAB, dove natura e arte si fondano assieme e ispirata chiaramente dall’influenza della nonna; la nipote Karole Vail, invece, dirige la Collezione Peggy Guggenheim in Laguna.

– Valentina Poli

L’INFANZIA A NEW YORK

Peggy Guggenheim

Peggy Guggenheim con gli orecchini realizzati per lei da Yves Tanguy; anni ’50. Fondazione Solomon R. Guggenheim. Photo Archivio CameraphotoEpoche. Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005

Una famiglia importante e famosa. Mecenati e amanti dell’arte. Residenti in America ma provenienti dalla Svizzera. Una ricchezza accumulata grazie alle banche e all’estrazione dell’argento e del rame. Un cognome conosciuto, amato e sussurrato dagli artisti di tutto il mondo. La famiglia è Guggenheim e lei è Peggy, nata Marguerite. A soli vent’anni rimane orfana. Una tragedia. L’imbarcazione Titanic affonda. Il padre era tra i passeggeri imbarcati. Peggy si ritrova con un’eredità di 2,5 milioni e un rapporto difficile con la madre. Da questo momento inizia a viaggiare dalle Cascate del Niagara fino ad arrivare alla frontiera messicana. Al ritorno, nella sua città, New York, inizia a lavorare in una libreria, la Sunswise Turn e a frequentare i più importanti circoli della città. Una sera conosce lui, artista squattrinato, Laurence Vail di cui s’innamora e convolerà a nozze nel 1922 a Parigi.

DA NEW YORK A PARIGI

Peggy Guggenheim

Peggy Guggenheim, c.1930, Paris, photograph Rogi André (Rozsa Klein). In the background, Notre Dame de Paris, and on the right, Joan Miró, Dutch Interior II (1928)

Decide così di abbandonare la sua patria, l’America, e di trasferirsi a Parigi con il marito. Due i figli: un maschio, Sinbad e una femmina Pegeen Vail con una forte propensione artistica. Grazie al marito e a Marcel Duchamp Peggy riesce a entrare nei più importanti circoli della Capitale francese diventando amica e collezionista dei più importanti artisti dell’epoca tra cui Man Ray e Fernand Léger. Nel periodo parigino Peggy implementa la propria collezione, con grandi opere. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale tutti iniziano a scappare dalla città che non è più un luogo sicuro, la frenesia, il caos, i tedeschi sono alle porte. Tutti vendono quello che possono. Peggy, famosa nella città, viene inseguita, braccata. Tutta Parigi le vuole vendere opere d’arte, come lei racconta “in quel periodo difficile ho dovuto prendere una decisione: comprare un solo quadro al giorno. Le persone mi chiamavano o venivano a casa di prima mattina”.

DI NUOVO A NEW YORK

Peggy Guggenheim e Max Ernst nella galleria surrealista di Art of This Century, New York, 1942 ca. - courtesy Fondazione Solomon R. Guggenheim

Peggy Guggenheim e Max Ernst nella galleria surrealista di Art of This Century, New York, 1942 ca. – courtesy Fondazione Solomon R. Guggenheim

Parigi 1941. Seconda Guerra Mondiale, i tedeschi avanzano. Panico e confusione nella città. Peggy deve andarsene: è ebrea e di conseguenza anche i suoi figli. L’ex marito Laurence Vail la esorta a scappare e a ritornare negli Stati Uniti. “Certo” risponde Peggy e conclude “ma prima devo salvare la mia collezione che, forse, è ancora più importante della mia vita”.
Così il 13 luglio del 1941 arriva a Marsiglia per tornare in patria. Ma viene contatta dalla moglie di Yves Tanguy “può pagare il viaggio di alcuni artisti? Devono assolutamente scappare da Parigi”, vicenda che la stessa Guggenheim racconta in un’intervista rilasciata negli anni ’70, “è stato difficile riuscire a farli uscire dall’Europa ma ci sono riuscita e sono venuti a New York con me. Erano: Marx Ernst e André Breton grandi artisti ed intellettuali.”

ART OF THIS CENTURY A NEW YORK

Peggy Guggenheim con Jackson Pollock Venezia si prepara a celebrare 40 anni senza Peggy Guggenheim. La sua storia in 8 foto

Peggy Guggenheim con Jackson Pollock

Ed ecco il ritorno a New York. La nascita di una galleria conosciuta come Art of this Century. Lì Peggy mette sotto contratto un giovane artista che descrive così “era un uomo contraddittorio. Così timido e difficile da presentare alla gente e nervoso. Arrivava sempre sbronzo e per questo non avrebbe potuto farcela da solo. L’ho messo sotto contratto: una piccola cifra ma lui era così felice”.
Da qui grandi polemiche. Lui era Jackson Pollock. I Surrealisti gridano allo scandalo, pensano che lei abbia superato il limite. Peggy favorisce, infatti, un gruppo di giovani artisti americani, gli espressionisti astratti, che si distaccano dall’arte europea, pur essendone stati profondamente influenzati.

“VENEZIA, LA CITTÁ CHE TANTO AMO”

Peggy Guggenheim

Peggy Guggenheim a Palazzo Venier dei Leoni con Alexander Calder, Arco di petali (1941, PGC), Venezia, primi anni ’50. Fondazione Solomon R. Guggenheim. Photo Archivio CameraphotoEpoche. Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005. Alle sue spalle Jean Arp, Scarpa azzurra rovesciata con due tacchi sotto una volta nera (1925, PGC)

La prima Biennale del dopoguerra, 1948. Due sono gli schieramenti Guttuso da una parte più legato all’arte figurativa, Argan dall’altra che invita Peggy con la sua collezione a esporre nel Padiglione Greco.
Ma l’amore, perché di questo si tratta, con Venezia è meglio raccontato dalle sue parole “io appartengo a Venezia, la mia grande immensa passione, il mio grande amore. Mi sono innamorata di Venezia quando sono venuta qui per la prima volta. É un luogo dove ho sempre desiderato vivere e adesso finalmente posso farlo, ma ho perduto quasi tre anni per cercare la casa dove stabilirmi. Quella adatta per i quadri e per i cani che devono avere un giardino. Com’è oggi era prima, non ho toccato nulla all’esterno del palazzo, ho solo trasformato l’interno. É stata una fortuna (…) questo è il solo palazzo di Venezia che poteva adattarsi al mio museo, si chiama Venier dei Leoni perché pare che la famiglia Venier tenesse un leone nel giardino”.

LA FINE DI UN’EPOCA

Peggy Guggenheim

Peggy Guggenheim nella sala da pranzo di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, anni ’60.
Fondazione Solomon R. Guggenheim. Photo Archivio CameraphotoEpoche. Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005
Alla parete (da sinistra) Marcel Duchamp, Nudo (studio), Giovane triste in treno (1911-12, PGC), Vasily Kandinsky, Paesaggio con macchie rosse, n. 2 (1913, PGC), Georges Braque, Il clarinetto (1912, PGC); sul tavolo in primo piano Jean Arp, Testa e conchiglia (1913, PGC).

Negli anni ’60 la fine di un’era. Decide di non collezionare più opere d’arte. “Devo dire che sono rimasta sempre più delusa dalle opere contemporanee, per molto tempo ho cercato di tenermi aggiornata comprando nuovi lavori ma poi mi sono resa conto che non erano all’altezza. Mi sono convinta che stiamo entrando in un’era di anti arte, può darsi che io appartengo ad un’altra epoca” continua “e non m’interessa più quello che succede nel mondo, ma non posso impedirmi di pensare che l’epoca a cui appartenevo era infinitamente migliore nel campo della scultura e della pittura. Oggi nessuno fa più niente di originale, si accontentano di copiare quello che di valido era stato fatto nel passato” e conclude “credo che l’era della pittura sia terminata. Forse l’arte si trasformerà in qualche cosa d’altro”. Questi sono gli anni del boom economico. L’arte inizia ad aumentare il suo valore, un concetto, un’epoca che non appartengono più a Peggy.

LA DESTINAZIONE DELLA SUA COLLEZIONE

17 Bacci Tancredi Peggy Gugenheim a Palazzo Venier dei Leoni Venezia si prepara a celebrare 40 anni senza Peggy Guggenheim. La sua storia in 8 foto

Bacci, Tancredi e Peggy Gugenheim a Palazzo Venier dei Leoni

Negli anni ’60, quindi, inizia a pensare alla sua collezione. Venezia la vuole, se la contende. Desidera averla, dà a Peggy la cittadinanza onoraria: un modo di legarla sempre di più. Ma niente. Lei prende la sua decisione. Aveva, nel 1949, già offerto la collezione allo Stato Italiano che aveva rifiutato. Dona, quindi, tutto alla Fondazione dello zio, Fondazione Solomon R. Guggenheim, ma ad un patto: deve rimanere in Laguna nella casa Venier Dei Leoni.

L’ADDIO A VENEZIA

Peggy Guggenheim

Peggy Guggenheim nella sala d’ingresso di Palazzo Venier dei Leoni accanto a una Maschera Yoka (Nimba) della sua collezione di sculture africane, Venezia, anni ’60. Fondazione Solomon R. Guggenheim. Photo Archivio CameraphotoEpoche. Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005. Da sinistra, Antoine Pevsner, Superficie sviluppabile (1941, PGC), Alexander Calder, Arco di petali (1941, PGC), Georges Braque, Fruttiera con uva (1926, PGC).

Un rapporto strano con Venezia, quasi conflittuale. La conosceva bene, l’amava certo ma aveva ben compreso quella sua vena malinconica e decadente “mi sono accorta dopo aver vissuto a lungo che questa è una città morta. Il luogo adatto per venire a morire. Mia figlia mi diceva sempre che avrei dovuto aspettare per venire, quando sarei stata più vecchia. Ma non ho rimpianti, perché la amo. Sono felice qui e questo mi basta. La sensazione di pace è meravigliosa, quella sensazione che accompagna la morte”.
Peggy rimarrà, per sempre, legata a Venezia – oltre che nella memoria delle persone – riposa infatti nel giardino del suo Palazzo Venier dei Leoni accanto ai suoi cani, in quella che oggi è la Collezione Peggy Guggenheim.

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Valentina Poli

Valentina Poli

Nata a Venezia, laureata in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali presso l'Università Ca' Foscari di Venezia, ha frequentato il Master of Art presso la LUISS a Roma. Da sempre amante dell'arte ha maturato più esperienze nel…

Scopri di più