L’America di Henri Cartier-Bresson. A Lucca
Lucca Center of Contemporary Art ‒ fino all’11 novembre 2018. In 101 scatti in bianco e nero, l’America vista da Henri Cartier-Bresson, dal 1935 al 1971. Un reportage in più fasi che racconta uno spaccato di storia del Paese, con l’ampio respiro temporale che caratterizza le grandi avventure narrative, alla stregua di “Pastorale americana” del compianto Philip Roth.
Dagli anni difficili della Grande Depressione, con il primo mandato di F. D. Roosevelt, fino al 1971, che segna l’America di Nixon, passando per gli Swinging Sixties di Kennedy. Nel raccontare l’America attraverso gli americani, Henri Cartier-Bresson (Chanteloup-en-Brie, 1908 ‒ L’Isle-sur-la-Sorgue, 2004) lascia comunque ampio spazio all’impostazione artistica, alleggerendo l’approccio “antropologico” che aveva caratterizzato, ad esempio, il reportage di Robert Frank; era infatti convinto che il fotografo dovesse cogliere la vita di sorpresa, “appena si alza dal letto”. E quest’aria di spontaneità, peraltro mai ingenua, la si coglie costantemente in immagini che catturano l’essenza della complessa società americana.
DA ROOSEVELT A KENNEDY E JOHNSON
Cuore di questo reportage “a puntate”, dopo il prologo degli Anni Trenta, il decennio compreso fra il 1947 e il 1957, che segna la definitiva affermazione della società dei consumi. Bresson la racconta soffermandosi sui fast-food, la Coca Cola, il centro spaziale di Cape Kennedy, la folla alle partite di baseball o di football; un’America sterminata, con molte contraddizioni, dai ricevimenti mondani al Waldorf Astoria ai disoccupati che leggono il giornale sulle panchine pubbliche. E ancora, il cuore profondo di Lynchburg, Knoxville, Uvalde, Natchez, i mercati alimentari, i vagoni ristorante dei treni che attraversano quell’immenso Paese, istantanee di vita quotidiana sotto un sole pigro, in mezzo a distese semidesertiche. Un racconto per immagini dei cambiamenti di un Paese, le sue contraddizioni, la ricchezza e la miseria: il Bronx e la Bowery, e le ricche signore in pelliccia a Park Avenue. Ma anche i lati bizzarri del quotidiano con le suore che al MoMA guardano con un misto di stupore e perplessità La danza di Matisse.
L’AMERICA NERA E IL WHO’S WHO
Da europeo che aveva subito sulla propria pelle la tragedia della Seconda Guerra Mondiale, con i suoi episodi di razzismo, Bresson non concepisce come negli Stati Uniti, la patria della libertà, possa ancora esistere la segregazione. Per questa ragione, nel corso dei suoi viaggi, si lascia ampio spazio per fotografare la comunità afroamericana, ed è emblematica l’immagine di un trombettista jazz nero assieme alla moglie bianca, a New York, nel 1935; un inno contro la segregazione razziale. All’altro capo, il mondo del cinema, delle arti e della scienza: Truman Capote, Marilyn Monroe, Alexander Calder, Robert Oppenheimer, William Faulkner, Robert Lowell, Saul Steinberg, Ezra Pound, Igor Stravinskij, Martin Luther King. Persone che hanno contribuito a fare grande l’America. Ritraendoli in situazioni di intimità ‒ ad esempio Faulkner in giardino con i propri cani, o Marilyn Monroe in un momento di pausa delle riprese de Gli spostati ‒, Bresson li avvicina alla gente comune che costituisce il suo soggetto preferito, ma, allo stesso tempo, sembra esaltare l’importanza di ognuno di essi nel dare un volto all’America.
‒ Niccolò Lucarelli
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