Ecce Homo. I corpi “asettici” di Evelyn Bencicova
Classe 1992, la fotografa originaria di Bratislava è autrice di composizioni in cui il corpo si trasforma in materiale “inorganico”. Fra nudità e atmosfere asettiche.
Appare certamente strano, incongruo, il titolo Ecce Homo per una singolare serie fotografica che mette in scena composizioni coreografiche di corpi nudi in grandi ambienti altrettanto spogli. Bisognerà arrivare a capirlo per gradi. Ne è autrice una giovane artista slovacca, Evelyn Bencicova, nata nel 1992 a Bratislava, laureatasi alla Facoltà di Arti Applicate di Vienna e oggi stanziatasi a Berlino. Ufficialmente è fotografa, ma le sue ambizioni vanno oltre. Operando tra il commerciale, soprattutto fashion, e l’artistico – via via per Gucci, Cartier, Nehera, Elle, Dazed & Confused, così come per Kunsthalle Basel, il Teatro e Balletto Nazionale Slovacco, il MuseumsQuartier di Vienna, il club techno berlinese Berghain – si esprime attraverso un’estetica molto spesso concettuale. Lo possono documentare le sue molte mostre nelle capitali europee, i prestigiosi premi vinti (Hasselblad Masters e Broncolor Gen Next) e pure un ermetico – ma pluripremiato – cortometraggio, Asymptote, firmato nel 2016 in collaborazione con Adam Csoka Keller e Arielle Esther.
OLTRE IL PIACERE SENSUALE
Ma adesso finalmente, esauriti i dati d’obbligo, concentriamoci sulla sua curiosa operazione che ha disposto numerosi corpi nudi, candidi, glabri, perlopiù femminili, in raggruppamenti bizzarri. Quasi composizioni scultoree o addirittura architettoniche. Sono soggetti senza testa, forme pure che diventano oggetti, se non parti di un unico oggetto che si fa soggetto, quasi più inorganico che organico. Lei dice che da bambina si immaginava, da grande, come filosofa o politica. Un po’ di filosofia e un po’ di politica si possono ritrovare senz’altro in queste immagini a lor modo spettacolari. La sterilizzazione degli ambienti e dei colori – oltre che dei corpi, che entrano in vicendevole contatto in modo totalmente algido, privo di qualsiasi connotazione di piacere sensuale – può essere intesa benissimo come metaforica.
EROTISMO E SOFFERENZA
Il fatto di essere cresciuta in Slovacchia, confessa la stessa Bencicova, non è estraneo a tale ispirazione. Ambienti vuoti e asettici, atmosfere gelide, esseri singoli che perdono la propria individualità annullandosi anonimi in strutture indefinite e pure indecifrabili: il tutto per altrettanti eccentrici (a volte simmetrici e a volte no) tableaux vivants che per l’artista rappresentano una condizione umana che conosce anzitutto sofferenza e mortalità. Ecco dunque un’altra, ennesima versione del dolente Ecce Homo della cultura (anche visiva) cristiana. Beh, un concetto di “umanità” diciamo non ovunque condivisibile, ma alla fine ancor degno di rispetto, se non altro storicamente. D’altronde, per la cultura cristiana il corpo umano non è mai stato erotico, bensì sede sacra di sofferenze. È la Storia, bellezza.
‒ Ferruccio Giromini
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #44
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