Gibellina e la fotografia
Comincia Gibellina Photoroad 2018, anteprima del più grande festival di fotografia all’aperto e site specific d’Italia, che tornerà a Gibellina nel 2019 per la sua seconda edizione. La prima si era svolta nel 2016 e si inserisce nel ricco programma espositivo e teatrale che la Fondazione Orestiadi ha promosso in occasione del cinquantenario del terremoto del 1968.
L’anteprima di Gibellina Photoroad, assaggio del festival che avrà luogo nel 2019, si apre oggi 6 settembre e si chiude il 30 ottobre. Prevede l’esposizione di foto di grande formato della serie Sputnik di Joan Fontcuberta (Barcellona, 1955), che inaugura il 14 settembre al Padiglione 20 dei Cantieri Culturali della Zisa; e, nello stesso luogo, alle 22 è prevista una proiezione video dedicata al 1968, anno simbolo di grandi rivoluzioni nell’immaginario collettivo, dell’artista e videomaker Danilo Torre (Catania, 1978). Ci saranno anche tre talk con fotografi di fama internazionale: oggi, con Tobias Zielony (Wuppertal, 1974); quello del 14 settembre al Centro Sperimentale di Fotografia con Letizia Battaglia (Palermo, 1935) e Fontcuberta; quello del 6 ottobre al Museo Riso con Mario Cresci (Chiavari, 1942).
Il filo conduttore della manifestazione è l’immagine fotografica, sempre in bilico tra realtà e finzione. Si parlerà di valore artistico e valore documentario della fotografia, di postfotografia, di sogni e utopie espressi attraverso le immagini e del loro culto, durante i talk e prendendo spunto dalla fortunata serie Sputnik di Fontcuberta e dal video Supercut ‘68 di Torre.
LA MOSTRA DI FONCUBERTA
La mostra di Joan Fontcuberta nasce da un’operazione complessa che il fotografo catalano compie nel 1997 riportando alla luce un caso sorprendente nella storia dell’esplorazione spaziale. Il 25 ottobre del 1968 il cosmonauta Ivan Istochnikov e il suo cucciolo Kloka, imbarcati sulla navicella Soyuz 2, scomparvero durante una missione. Secondo la versione ufficiale diffusa all’epoca, il Soyuz 2 era un’astronave completamente automatizzata, senza equipaggio a bordo. Gli archivi vennero però manomessi, foto cancellate o distrutte, testimoni e parenti uccisi o mandati in Siberia e la storia fu riscritta per oscure “ragioni di Stato”. Finché i documenti non vennero finalmente desecretati, grazie alle riforme avviate nel periodo della perestrojka di ricostruzione della nuova Unione Sovietica, alla fine degli Anni Ottanta, permettendo la ricostruzione di uno straordinario capitolo della storia della corsa alla Luna che, sul finire degli Anni Sessnata, videro Urss e Usa fronteggiarsi per conquistare l’ambito primato. Fontcuberta mette in mostra le foto di Istochnikov, da piccolo fino agli ultimi giorni prima del volo, della famiglia, della cagnolina, e persino della bottiglia di vodka lasciata sull’astronave con un indecifrabile messaggio.
SVELATO L’INGANNO
Chi ha manomesso le foto, però, si scopre alla fine, è proprio Fontcuberta, che con questa storia ha ingannato la stampa di mezzo mondo: durante la prima esposizione della mostra nel 2015 a Barcellona, in molti (anche giornalisti) credettero a questa storia. A tutt’oggi nei comunicati stampa non si dice che è tutta una messa in scena magistrale, anche se, a una rilettura più oculata, oltre che alla fine della mostra, i più attenti ricevono diversi indizi per fiutare l’inganno. Tra cui la faccia del cosmonauta, che è proprio quella del fotografo e il suo cognome che è la traduzione dal catalano al russo di Fontcuberta. “Le immagini creano uno stato di opinione”, ha commentato il fotografo. “Se sono riuscito io a far tutto questo appena con una macchina fotografica, cosa non riesce a fare un governo che abbia risorse illimitate”. Riportando l’attenzione sulle fake news, argomento sempre più attuale, e alla celeberrima discussione circa la verità delle foto del primo uomo sulla Luna che anche eminenti fotografi dicono posticce. Forse fu proprio questa l’ispirazione fantascientifica del fake di Fontcuberta, del resto la prima cagnolina (Laika) nel 1957, il primo uomo nello spazio nel 1961 (Jurij Gagarin) e la prima donna nel 1963 (Valentina Tereskova) ad andare nello spazio furono russi, quando il Presidente degli Stati Uniti J.F. Kennedy annunciò che entro il decennio un americano avrebbe messo piede sulla Luna e Neil Armstrong lo fece poi allo scadere del 1969, il set lunare ad alcuni detrattori (tra cui, per esempio, il fotografo Peter Lindebergh) sembrò troppo artificiale. Ironia della sorte, nel 2013 il catalano riceve il prestigioso Hasselblad Award, e Hassebald è proprio la prima macchina fotografica che la NASA utilizzò nello spazio, con la seguente motivazione: “Uno dei più creativi fotografi contemporanei. Il suo lavoro si distingue per gli originali e ludici approcci concettuali, che in particolare esplorano le convenzioni fotografiche e le diverse vie nella rappresentazione della realtà”.
IL 1968 SECONDO DANILO TORRE
Anche Danilo Torre, che si era distinto per le immagini spaziali proiettate sulla gigantesca sfera-cupola della Chiesa Madre di Ludovico Quaroni a Gibellina nell’edizione 2016 del Photoroad, torna a stupire gli spettatori che si recheranno al Padiglione 20 di ZAC con nuove – ma antiche – scene dal futuro. L’Installazione è composta da quattro proiezioni contemporanee asincrone. Ogni proiezione è un remix di alcuni film usciti tutti nel 1968, tra cult movies e fantascienza di serie B. I film (Il pianeta delle scimmie, La notte dei morti viventi, L’uomo venuto dal Kremlino, One plus one, Barbarella, La via lattea, e diversi altri) sono scomposti, smontati e sezionati. In maniera casuale i quattro video creano connessioni reciproche, restituendo alla fine un’atmosfera, quella del 1968 cinematografico. Una visione del futuro obsoleta.
“L’operazione di remix dei film nasce dai suggerimenti di Godard per cui la storia del cinema è una fonte di immagini riutilizzabili”, spiega il videoartista, che non è nuovo a questo genere di esperimenti (nei suoi video, come in In Focus Memories o In the backward of time per esempio, manipola vecchie pellicole o filma nuove scene con pellicole scadute e le monta insieme), lasciando aperta la questione di un tempo “cristallizzato” che ci viene restituito attraverso l’immagine.
– Mercedes Auteri
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