La grande fotografia di paesaggio. Intervista con Vittore Fossati
Stavolta prende la parola Vittore Fossati, uno dei protagonisti del “Viaggio in Italia” di Luigi Ghirri.
La fotografia di Vittore Fossati (Alessandria, 1954), Oviglio (1981), una località nei pressi di Alessandria, apre A perdita d’occhio, il primo capitolo di Viaggio in Italia. A questo proposito il fotografo ha affermato: “È un omaggio alla razionalizzazione della visione e al disincanto che ne può derivare. Come insegna Erwin Panofsky, la rappresentazione dello spazio è la forma simbolica di una cultura. Nell’immagine, che ha impianto prospettico centrale, l’arcobaleno è generato da un irrigatore che produce una miniaturizzazione di un evento celeste. E l’arco non finisce in un bosco, ma al centro di una strada asfaltata, dove non c’è nessuna pentola del tesoro…”. Nato ad Alessandria nel 1954, Fossati ha iniziato a fotografare alla fine degli Anni Settanta.
I tuoi primi passi nel mondo della fotografia?
Nel 1976 mi era capitato di leggere recensioni di mostre di fotografia in una rubrica che il critico d’arte Luigi Carluccio teneva sul settimanale Panorama. Incuriosito, ho deciso di andare a vedere una di queste mostre e da lì tutto è iniziato. Ho aperto nella mia città un piccolo spazio espositivo e ho cominciato, a mia volta, a fotografare. Alternavo mostre di autori storici a quelle di giovani. Nell’aprile del 1977 ho presentato una quarantina di foto di Eugène Atget stampate da Berenice Abbott e due anni dopo ho esposto la serie Flippers di Olivo Barbieri.
Quando e in che circostanza ha conosciuto Luigi Ghirri?
L’attività di “gallerista” mi portò a incontrare molti fotografi dei quali poi facevo le mostre. Fu così che incontrai Luigi Ghirri nel 1978. Lo ricordo come una persona molto generosa, dovevo essergli simpatico e mi coinvolse subito nei suoi progetti, anche se io avevo prodotto, sino a quel momento, sì e no dieci fotografie. Quando ha organizzato la collettiva Iconicittà a Ferrara, alla fine del 1979, mi ha chiamato per dirmi che gli servivano delle mie fotografie. Non l’ho neppure lasciato finire per domandargli quante ne voleva. Mi ha risposto: “Una ventina”. E io: “Ma non le ho…”. Alla fine Carluccio ha recensito la mostra su Panorama, ha pubblicato a corredo una mia fotografia e nell’elenco dei fotografi ha persino omesso di citare Ghirri, il quale non mancò di telefonarmi per dirmi: “Ecco cosa si guadagna a fare un piacere ai giovani!”.
Con quale criterio avete scelto le fotografie per Viaggio in Italia?
Le foto, almeno nel mio caso, le ha scelte Ghirri fra quelle che gli avevo mostrato. Sceglieva quelle che gli sembravano più utili per “illustrare” le dieci sezioni in cui si articolavano la mostra e il catalogo.
Qualcuno mi ha raccontato che hai trovato tu la casa editrice per la stampa del volume, Il Quadrante, che aveva sede ad Alessandria, la città in cui vivi. Come sono andate le cose?
Inizialmente, se ricordo bene, il catalogo avrebbe dovuto stamparlo Laterza: la prima sede della mostra era, infatti, a Bari, presso la Pinacoteca Provinciale. Avrebbe dovuto esserci una sponsorizzazione che poi è saltata e quindi, senza questi soldi, l’editore non era più intenzionato a pubblicare il libro. Mancava poco tempo all’inaugurazione e Ghirri non sapeva cosa fare. Fu allora che gli proposi di stamparlo con Il Quadrante, piccola casa editrice della mia città, di cui allora ero anche socio. Questa casa editrice si è poi trasferita a Torino, oggi si chiama Lindau ma l’amministratore è rimasto lo stesso dai tempi di Viaggio in Italia. Le disponibilità economiche erano comunque limitate: questa è la ragione per cui il libro riproduce solo 86 foto delle circa 300 di cui si componeva la mostra.
Due anni dopo Viaggio in Italia hai partecipato a Traversate del deserto con Gianni Celati.
Era una mostra curata dall’associazione “I figli del deserto”, di cui facevano parte, fra gli altri, Giovanni Zaffagnini e Cesare Ballardini, due fotografi con i quali ho ancora rapporti. Alla mostra e al catalogo hanno collaborato Gianni Celati per la scelta dei testi e Luigi Ghirri per le fotografie. Ho deciso di dare per questa mostra non immagini di paesaggio o comunque di “esterni”, come forse, credo, si aspettassero, ma foto realizzate all’interno di quello che, allora, era il mio studio. In queste foto, dalla veduta più ampia a quelle più ravvicinate, compaiono molti oggetti e opere d’arte che possono incuriosire, frutto però di pensieri destinati a rimanere inesplicabili con le sole immagini.
L’ultima foto della serie, quadrata, e quindi anche di formato diverso dalle altre, mostra invece dei “travasi analogici” fra i diversi oggetti che vi compaiono, finendo così per dare l’illusione di una possibile decifrazione, almeno formale, di quello che viene mostrato. E magari scappa anche l’esclamazione: “Ah! Ecco!”. Ma è solo un’apparenza di senso. Insomma, se vediamo un sasso in una distesa di sabbia pensiamo di poter fare il “punto” e ci sentiamo subito meno disorientati. Ma un sasso, si sa, è solo un granello di sabbia un po’ più grande degli altri che gli stanno intorno.
Vogliamo parlare anche di un altro lavoro ghirriano dello stesso anno, Esplorazioni sulla via Emilia?
È il lavoro di cui – per quanto riguarda il mio contributo – sono più scontento: forse perché avevo iniziato, proprio in quell’occasione, a usare un medio formato montato sul treppiede. Insomma, mi “impastoiavo”, come si dice, producendo delle foto troppo “ingessate”. Così ne ho parlato una sera al telefono con Ghirri, il quale mi ha detto a bruciapelo: “Vittore, non confondere la precisione con la profondità”. Spero, col tempo, di avere imparato. In concomitanza alla mostra di Reggio Emilia era stato organizzato un convegno di un paio di giorni sul tema Rappresentazione dell’esterno, a cui erano stati invitati scrittori, fotografi e studiosi di diverse discipline. È stato in quell’occasione che ho avuto modo di incontrare Tonino Guerra, Ermanno Cavazzoni, Ruggero Pierantoni, Daniele Del Giudice e, fra gli altri, anche Beppe Sebaste e Giorgio Messori, miei coetanei con i quali era più facile familiarizzare e riconoscersi in un – seppure vago – sentire comune.
Nel 2007 hai realizzato con Giorgio Messori l’ormai introvabile libro Viaggio di un paesaggio terrestre. Di che cosa si tratta?
Il libro è stato pubblicato nel 2007, in occasione dell’omonima mostra allestita presso il Chiostro di San Domenico, a Reggio Emilia, durante la seconda edizione di Fotografia Europea. Giorgio Messori era morto l’anno precedente e del libro ha visto solo le bozze. Il nostro progetto era iniziato circa dieci anni prima e ci lavoravamo nei giorni di vacanza. Il libro si compone di nove capitoli corrispondenti ad altrettanti viaggi e prenderebbe troppo tempo, all’interno di questa intervista, dare conto della struttura e delle ragioni del lavoro. Ad esempio, del perché si inizia da una località “qualsiasi” dell’Appennino reggiano, Villa Minozzo, per arrivare sulle sponde del Baltico, nei luoghi della pittura di Caspar David Friedrich. Abbiamo iniziato a fare questo lavoro perché entrambi avevamo voglia di riprendere il filo di alcuni ragionamenti che la morte di Ghirri aveva interrotto, diradando per un po’ di anni anche la nostra frequentazione. Entrambi riconoscevamo che Ghirri era stata la persona che più aveva contribuito a orientare i nostri pensieri e quindi il nostro libro, che spesso lo cita, voleva anche risarcirlo per la fiducia e la stima che ci aveva accordato chiamandoci a collaborare a tanti dei suoi progetti. Giorgio Messori aveva scritto il testo per Atelier Morandi, il primo libro di Ghirri pubblicato postumo nell’ottobre 1992.
Nell’intervento che hai tenuto qualche tempo fa su Ghirri alla GAMeC di Bergamo, hai raccontato che nel dicembre del 2011, a un mese dalla scomparsa di Paola Ghirri, con Daniele De Lonti, Gianni Leone e Beppe Sebaste ti sei recato a Roncocesi, nella casa dove vivevano negli ultimi anni Paola e Luigi, per fare delle fotografie all’ambiente, nel timore che, dopo la ristrutturazione, la casa cambiasse. Nell’estate dello stesso anno, infatti, un grosso incendio aveva distrutto il tetto dell’abitazione colonica e per spegnere l’incendio era stata utilizzata molta acqua che aveva fatto ammuffire le pareti. Cosa ne è uscito da quell’operazione?
Con le nostre foto è stata allestita una mostra a Narni, nello scorso febbraio, nel centro culturale “La stanza”, messo in piedi e curato dallo scrittore Beppe Sebaste, al quale si deve il bellissimo testo che racconta le ragioni del nostro lavoro. Arturo Carlo Quintavalle ha dedicato a quest’operazione, che voleva anche ricordare Ghirri a venticinque anni dalla morte, una pagina della Lettura, il supplemento del Corriere della Sera.
La tua ricerca non si è limitata – per così dire – alla fotografia. Nel 2004 con Maurizio Magri hai realizzato il documentario Viaggio in Italia. I fotografi vent’anni dopo. Di che lavoro si tratta?
La realizzazione di questo documentario mi era stata proposta dal Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo. Non essendo pratico di video, mi rivolsi all’amico Maurizio Magri, che invece lavorava in questo campo. Tra l’altro a lui si deve l’incontro tra Celati e Ghirri, e quindi non era del tutto digiuno delle vicende di Viaggio in Italia. Gli ho chiesto se aveva voglia di occuparsi della realizzazione tecnica del video, riservandomi il ruolo di “aiutante” per le interviste con i fotografi per suggerire qualche cosa qua e là, che, a mio parere, era importante far emergere. Nell’insieme credo sia un documento di qualche utilità per comprendere le circostanze e la temperie culturale all’origine di questa importante mostra collettiva.
VIAGGIO IN ITALIA. COSA ABBIAMO IMPARATO
Un’affermazione di Mimmo Jodice, a proposito del mondo della fotografia di paesaggio in Italia intorno agli Anni Ottanta, nell’intervista della serie a lui dedicata in queste pagine, ha acceso in me una lampadina: “Eravamo in pochi e ci scambiavamo idee, facevamo molte volte delle mostre insieme, era naturale che ne nascesse un movimento”. I fotografi italiani che hanno partecipato a Viaggio in Italia hanno fatto parte, più o meno consapevolmente, di un movimento.
Sono passati oltre trentacinque anni da quel momento, in cui il geniale Luigi Ghirri avverte la necessità di chiamare a raccolta quei pochi fotografi, perlopiù amici, che si dedicavano a questo tipo di ricerca. Ne nascono riflessioni importanti da parte di intellettuali, scrittori, storici dell’arte e soprattutto una nuova visione della fotografia di paesaggio in Italia. C’era chi guardava ai tedeschi, ai Becher, come Gabriele Basilico, chi agli americani come Ghirri stesso o Guidi, chi era legato strettamente all’architettura, chi al sociale, ma da quel momento in poi è come se quel tipo di fotografia in Italia avesse posto la sua prima pietra miliare, il suo anno zero.
Dalle interviste fatte, emerge un Ghirri intelligente, stimolante, complesso, una figura chiave multiforme al quale si deve questa fondamentale operazione che ha determinato l’inizio di molti percorsi.
Il libro Viaggio in Italia, edito da Il Quadrante di Alessandria, è testimonianza soltanto di una parte della mostra barese, che era molto più ampia, ma ugualmente è divenuto un imprescindibile punto di riferimento per le generazioni successive di studiosi e di fotografi che si sono dedicati a quel tipo di fotografia, i nati dagli Anni Sessanta in poi.
La fotografia di paesaggio negli ultimi vent’anni è decisamente mutata, è uscita sempre più dalla costrizione del genere, ma certo è che quella prima ricognizione italiana è stata fondamentale. Da quel “movimento”, riunito da Luigi Ghirri, senza manifesto e senza punti di riferimento obbligati, non si può prescindere per comprendere almeno in parte quanto è successo negli anni a venire.
‒ Angela Madesani
Giovanni Chiaramonte – Artribune Magazine #40
Guido Guidi – Artribune Magazine #41
Vincenzo Castella – Artribune Magazine #42
Mario Cresci – Artribune Magazine #43
Olivo Barbieri – Artribune Magazine #44
Mimmo Jodice – Artribune Magazine #45
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #45
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