Terrae Motus: la call dedicata ai fotografi per raccontare il doposisma in Italia. L’intervista
50 anni di terremoti in Italia e 10 anni dal sisma che colpì L’Aquila: la mappa delle Italie fragili in un progetto promosso da Lo Stato delle Cose. Che lancia una call per fotografi e filmmaker. L’intervista ad Antonio Di Giacomo.
Dal sisma nel Belice del 1968 fino ai terremoti in Centro Italia del 2016/2017, con 140 paesi colpiti che ancora aspettando la ricostruzione: è questo il quadro di un Paese flagellato dalle scosse che hanno colpito cose, città, persone. Gli anni passano e l’opinione pubblica tende a dimenticare: sottrarre queste realtà dall’oblio e continuare a riflettere e sensibilizzare verso quello che è tristemente un nuovo paesaggio italiano è tra gli obiettivi della call Terrae Motus, che prende in prestito il nome dalla celebre collezione voluta e creata dal gallerista napoletano Lucio Amelio a seguito del sisma del 1980 in Campania e Basilicata. Il progetto promosso da “Lo stato delle cose. Geografie e storie del doposisma” – il primo osservatorio di fotografia sociale e documentaria sull’Italia colpita dal terremoto online, che ha già raccolto la testimonianza di oltre 100 fotografi, lancia una sfida a fotografi e filmmaker. La call ha infatti come obiettivo la documentazione dell’Italia, anzi delle Italie, del doposisma, negli ultimi 50 anni. ”Fra gli obiettivi della campagna fotografica, già avviata e destinata a durare nel corso del 2019, c’è anche l’intenzione di rivolgere lo sguardo sull’Irpinia e la Basilicata a ormai quasi 40 anni dal sisma del 23 novembre 1980. Una cartina di tornasole, importante, rispetto alle politiche di gestione del doposisma in Italia, fallimentari con la sola eccezione del Friuli, se immaginiamo l’emorragia di abitanti dall’Irpinia e la circostanza che oggi, a 38 anni dal terremoto, ci sono comuni dove c’è ancora un assessorato alla ricostruzione. O ancora, è il caso di Bucaletto, quartiere nella periferia di Potenza, centinaia di sfollati vivono da 36 anni in casette coibentate in amianto che sarebbero dovute essere temporanee”. Si può partecipare fino al 16 dicembre (in calce il link al bando con tutte le indicazioni). Abbiamo parlato del progetto con Antonio Di Giacomo, ideatore e giornalista de Lo Stato delle Cose e ci siamo fatti raccontare come è nata l’idea della call e con quali obiettivi.
Perché una call per ragionare sul tema del terremoto?
Il progetto è nato a gennaio 2016 con l’intento di cercare di restituire attenzione alle vicende del terremoto de L’Aquila del 6 aprile del 2009 in un momento in cui i riflettori della attenzione mediatica si erano ormai spenti. A tutt’oggi la situazione della città abruzzese è ben lontana dal potersi definire conclusa, con un ritorno totale alla normalità. L’idea alla base di questo progetto è quella che per raccontare le complessità di una situazione come questa sia necessaria la dimensione di un agire collettivo: da qui è nato il desiderio di realizzare una serie di campagne fotografiche attraverso una call aperta che racconti la mappatura delle “Italie del doposisma”, magari riportando all’attenzione anche su molte situazioni che erano ormai scivolate nell’oblio.
Per esempio?
Penso al terremoto del Molise, nel 2002, al crollo della scuola di San Giuliano di Puglia, che costò la vita a 27 bambini. San Giuliano è in gran parte ricostruita, ma così non si può dire per molti altri comuni. Ci sono ragazzi di 16 anni che oggi vanno ancora a scuola in strutture prefabbricate…Ma penso anche a situazioni di cui invece si parla, come il terremoto che ha flagellato il Centro Italia tra il 2016 e il 2017 e per il quale la ricostruzione stenta a partire.
Il riferimento a Terrae Motus e Lucio Amelio da dove proviene?
Lucio Amelio è una delle ultime figure di mecenati italiani, un uomo che attraverso l’arte e la creazione di questa importante collezione, oggi alla Reggia di Caserta, realizzata invitando importanti personaggi del mondo dell’arte, ha voluto bene alla sua terra, facendosi carico del suo futuro a seguito del terremoto in Irpinia e Basilicata del 1980. Per essere parte ad un progetto come quello di Terrae Motus occorre una forte motivazione ed un grande affetto nei confronti del nostro Paese. Anche oggi la posta in gioco è il futuro dell’Italia.
Che aspettative hai rispetto alle adesioni?
L’andamento della call è positivo: al momento abbiamo ricevuto diverse candidature recepibili, ma ne aspettiamo ancora molte altre. L’obiettivo è quello di costruire una narrazione in profondità dei territori colpiti dal terremoto: il focus sarà su L’Aquila visto che nel 2019 ricorre il decennale dal sisma che ha colpito la città. Questo non per una affezione retorica agli anniversari, quanto perché questi momenti servono a tirare dei bilanci. Riteniamo che oggi sia doveroso farlo.
E al momento qual è il bilancio?
Si dice che L’Aquila sia stata il cantiere più vasto d’Europa e probabilmente è vero. Ma il cantiere è piccolo rispetto alle esigenze del territorio. La ricostruzione è stata un po’, fino ad ora, a macchia di leopardo: il centro de L’Aquila sta rinascendo, ma nei comuni limitrofi come Onna e Paganica, ad esempio, le lancette dell’orologio sembrano ancora ferme al 2009. In tema di beni culturali inoltre il recupero è ancora faticoso: sono state recuperate le chiese di Collemaggio e San Bernardino, ma beni come il Forte Spagnolo o il Duomo necessitano ancora un restauro di lungo corso.
E per quanto riguarda la vita delle persone e il rapporto con lo spazio pubblico?
Bisogna immaginare che a L’Aquila non una scuola è stata ancora ricostruita, e questo la dice lunga sul tipo di percezione di spazio pubblico che può avere un ragazzino che di fatto è cresciuto nel terremoto. 36 moduli scolastici provvisori erano stati realizzati in emergenza e 36 musp continuano ancora oggi a funzionare. Vivere in una città così equivale, nonostante tutto, ancora oggi a vivere in una città che sembra bombardata in alcuni punti. Come si fa pensare alla normalità in una città così? La strada è ancora in salita.
Sei per il dov’era – com’era?
In una città di interesse storico e artistico come l’Aquila secondo me un approccio di natura conservativa è inevitabile. Una domanda però me la pongo rispetto al destino delle new town, le città costruite in emergenza con i Map, i moduli abitativi provvisori, con un enorme consumo di suolo ed economico. Che ne sarà di queste architetture?
–Santa Nastro
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