Fotografare l’umanità. Charles Fréger a Milano
Armani/Silos, Milano ‒ fino al 24 marzo 2019. Gli scatti di Charles Fréger volgono lo sguardo all’uomo e alle sue tradizioni. Da una parte all’altra del mondo.
È un percorso popolato di opere assai colorate quello proposto da Armani/Silos a Milano, in contrasto con la sobrietà dell’ambiente che le ospita. Sono oltre quindici anni di lavoro di Charles Fréger (Bourges, 1975), un’ampia ricerca di matrice antropologica, che ha come soggetto l’uomo, le tradizioni, il folklore.
La rassegna si apre con la serie realizzata nel 2000 e dedicata ai giocatori di pallanuoto, un lavoro sequenziale e tassonomico di grande forza. È possibile leggere in tutto questo un rimando alla ricerca di August Sander, Uomini del XX secolo. Là eravamo nella Germania della prima parte del XX secolo, qui siamo in un mondo in costante mutamento, quello dei primi due decenni del XXI secolo, che riserva, tuttavia, ancora molti aspetti da scoprire.
Fréger, fondatore del gruppo Piece of Cake e della casa editrice POC, esplora un genere, quello del ritratto, guardando alla fotografia certo, ma anche alla pittura.
Didier Mouchel, da poco scomparso, che si è occupato del suo lavoro, ha scritto:
“Se il mondo accademico è nel suo protocollo, è deliberato, come per mettere ulteriormente in discussione il ritratto dell’opulenza, dal momento che parte sempre da lì: un ritratto in cui i modelli devono essere soggetti restaurati con la loro identità ma anche con la loro dignità”.
I SOGGETTI
Soggetti delle sue immagini sono soprattutto giovani. Fréger si concentra su quello che indossano. È un mondo fatto di abiti appariscenti, di travestimenti più o meno consapevoli, ma anche di durezze e di nudità come nella serie Légionnaires, in cui l’indagine è sul mondo militare. Curioso il lavoro Empire, un’ampia serie che ha portato il fotografo, in tre anni, in sedici Paesi europei per incontrare trentuno reggimenti con i loro copricapi più o meno opulenti. In mostra anche la nota serie Wilder Mann, con uomini travestiti da animali veri o presunti tali, ambientata nella natura, serie alla quale Fréger sta ancora lavorando.
Le sue sono immagini rigorosamente frontali, in cui il volto e la sua espressione passano decisamente in secondo piano, se non in pochissimi casi come in Opera, dove sono ritratte le allieve danzatrici dell’Opera di Pechino.
Nei suoi lavori è estrinsecata la volontà di appartenere a un gruppo, di indossare un abito o un copricapo che sottolineino un’identità comune. Charles Fréger colpisce nel segno e ci racconta un’umanità nascosta dietro vessilli e mostrine in un tripudio di colore e gioia di vivere. Persone che giocano, che si divertono, che si mostrano, ma che in molti casi fanno anche, terribilmente, sul serio.
‒ Angela Madesani
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