Bambole di plastica e sex dolls. L’amore ideale di Diamond e Dorfman a Milano
Osservatorio della Fondazione Prada, Milano ‒ fino al 22 luglio 2019. Gli scatti di Jamie Diamond ed Elena Dorfman ampliano le prospettive sull’amore e sul desiderio.
“Sai certe volte penso di aver già provato tutti i sentimenti che potessi provare e che d’ora in poi non proverò più niente di nuovo, ma solo versioni inferiori di quello che ho già provato”.
Theodore in Her, Spike Jonze, 2014
Ci si può accontentare di un amore surrogato? A quanto pare sì, ci dicono gli scatti delle statunitensi Jamie Diamond (Brooklyn, 1983) ed Elena Dorfman (Boston, 1965), che portano in mostra all’Osservatorio della Fondazione Prada di Milano amori, desideri e quotidianità popolate di neonati di silicone e bambole erotiche.
Surrogati: un amore ideale, a cura di Melissa Harris, è in effetti un racconto intimo e privato che, attraverso quarantadue scatti, esplora la complessità dei legami affettivi e del desiderio.
Cos’è l’amore? Qual è il confine tra realtà e immaginazione? Quale quello tra immaginazione e finzione?
JAMIE DIAMOND
Jamie Diamond nelle sue serie ‒ Forever Mothers (2012-18) e Nine Months of Reborning (2014) ‒ documenta l’esperienza delle Reborners: donne, spesso con storie traumatiche alle spalle, che per realizzare il loro desiderio di maternità creano e accudiscono bambole di plastica dalle sembianze iperrealistiche.
Le donne di Diamond che tengono in braccio il loro neonato artificiale sono madri non meno delle madri naturali, anzi, forse anche di più: come recita il titolo della serie, sono madri ‘per sempre’, capaci di dare vita a una maternità sintetica ma non meno sentita, eterna e indistruttibile.
“I miei soggetti fantasticano con la figura di madri che impersonano senza doversi sottoporre fisicamente al parto e senza i problemi economici che un figlio comporta” ‒ afferma Diamond ‒ (…) Questo ci pone davanti a una questione interessante, quella dell’AI (Intelligenza Artificiale) e della possibilità di creare una sorta di surrogato che ci ami come vorremmo. A quel punto abbiamo qualche obbligo nei confronti di questi surrogati?”.
Nella serie I promise to be a Good Mother (2012) è l’artista stessa a ritrarsi con la bambola Annabelle, mentre fa colazione in un caffè, durante un viaggio in treno, o in una giornata di sole al lago: una quotidianità disarmante, come a dirci che il desiderio di avere figli è forse e anche soprattutto desiderio di esistenza e di vita.
ELENA DORFMAN
Il tema di una realtà ibrida, che prende vita dalla finzione, fa ugualmente da sfondo al lavoro di Elena Dorfman, che espone nell’Osservatorio la sua serie più nota, Still Lovers (2001-04), racconto di un amore umanissimo e quotidiano per bambole di silicone a grandezza naturale. “Volevo vedere con i miei occhi com’è fatto il legame amoroso tra essere umano e surrogato di silicone” ‒ dice la Dorfman ‒ “Come si instaurano queste connessioni? E come si approfondiscono? Cosa succede nella nostra mente per far attecchire questo amore?”.
In Still Lovers, le sex dolls, nate per soddisfare impulsi erotici, si tramutano in oggetti di desiderio affettivo, diventano compagne, mogli, amanti protagoniste di un legame ideale che diventa reale quanto un abbraccio, quanto il relax in un pomeriggio sul prato o in una sera sul divano davanti alla tv.
Quando la vita non basta, arriva l’immaginazione: nel lavoro di Diamond e Dorfman la realtà nasce in un punto labile del sentire in cui verità e finzione si incontrano e si sublimano nell’immaginazione: in questo mondo immaginato esiste la vita che vorremmo, quella che ci hanno promesso, una vita perfetta con un amore perfetto, e un mondo di plastica che diventa reale, come nel mondo dei bambini. E, come bambini, si inventa la vita giocando alle bambole.
‒ Emilia Jacobacci
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati