Sopralluoghi di memoria. Luigi Di Gianni a Roma
Museo delle Arti e tradizioni popolari, Roma – fino al 5 maggio 2019. L’istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, in collaborazione con il Museo delle Civiltà, dedica una mostra al lavoro fotografico e filmico di Luigi Di Gianni. Dal sud Italia per le inchieste sul magismo fino ai viaggi nell’ex Unione Sovietica per documentare con un forte impatto emotivo la realtà sociale e culturale dell’uomo contemporaneo.
È il Venerdì Santo del 1974. A Procida, in provincia di Napoli, piove. Luigi Di Gianni (Napoli, 1926) immortala, con la sua macchina fotografica, la processione del Cristo Morto e dell’Addolorata. Gli uomini incappucciati di bianco della confraternita avanzano lungo il tragitto della teatralizzazione del dolore, lenti nell’estenuante incidere, mentre i chierici sono stretti nei loro ombrelli rigorosamente neri, cupi come il lutto che si enfatizza in questa geografia del dolore. Immobile nel tempo, nella propria simulazione o mimesi, appare questa festa, che, se pur di morte, è una ricorrenza fissa, una cerimonia, la quale, come spiegato da Alberto Mario Cirese in Aspetti della ritualità magica e religiosa nel tarantino (1971), è un passaggio che riconduce tutto al tempo di partenza, nell’illo tempore, nel tempo del mythos primordiale, come se nulla si fosse, in realtà, mai mosso. Ma come in tutte le ricorrenze cicliche, in un crocicchio affollato di gente di paese, non mancano i venditori ambulati che, con le loro attrattive ludiche, ristabiliscono il fluire normale degli eventi, a significare in fondo, attraverso un modello di recupero, che la vita prosegue.
SCATTI E FILM DI LUIGI DI GIANNI
È da questi elementi che è stato attratto l’occhio fotografico e filmico di Luigi Di Gianni, uno sguardo attento da profondo conoscitore della materia socio-antropologica, che indaga e scruta l’uomo nelle proprie debolezze, nelle devozioni arcaiche che si oggettivizzano in ossessioni, in possessioni, in rituali esoterici, in cui i corpi divengo simulacri entro i quali si annida, nella penombra, il male, l’irrazionale, la malattia che deve essere fronteggiata attraverso il culto, il pellegrinaggio. Ma il suo sguardo indagatore, nel voler comprendere il centrum dell’oggetto di ricerca, si apre successivamente agli attimi della quotidianità storica, che, sebbene drammatica, oggi appare profondamente lontana nella memoria.
È una lezione sulla realtà, una ricerca profonda sull’essere e sull’uomo, che trae linfa dall’insegnamento di Ernesto de Martino sull’umanesimo etnologico.
‒ Fabio Petrelli
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