Franco Fontana. Dall’Emilia al mondo
Realizzata in collaborazione con “Fotografia Europea”, la monografica intitolata a Franco Fontana dalla sua città ne ripercorre la lunga carriera. Con qualche sorpresa.
A cura di Diana Baldon e dello stesso artista, la monografica dedicata da Modena al “suo” Franco Fontana (Modena, 1933) si sviluppa in ben tre sedi, due delle quali animate dalle opere del fotografo e la terza dagli scatti scambiati con colleghi e amici. Ma, a ben vedere, i nuclei dell’esposizione sono inscindibili e restituiscono uno sguardo completo sulla lunga carriera “a colori” dell’autore modenese, che abbiamo intervistato per farci rivelare il dietro le quinte di Sintesi.
Sintesi: perché avete scelto questo titolo?
Sintesi vuole suggerire la ricerca che è stata fatta dalla curatrice Diana Baldon e da me mettendo tantissime mie fotografie sui tavoli e selezionando pian piano quelle da esporre per arrivare, appunto, a una sintesi che riesca a rappresentare le radici di tutto il mio lavoro.
Con quali criteri avete selezionato le opere da esporre nelle due sedi di Palazzo Santa Margherita e della Palazzina dei Giardini?
Abbiamo deciso di non scegliere le foto più conosciute, quelle più iconiche, come le serie dei paesaggi urbani e naturali. Le opere sono invece in grandissima parte inedite, in base al principio secondo cui quello che non si vede è fatto in funzione di quello che si vedrà, come è per le radici che alimentano la pianta ma che non vediamo, così come non si vede il pensiero. In questo caso abbiamo attinto dalle immagini che hanno permesso al mio lavoro di generare i “frutti” ora conosciuti da tutti oppure, se vogliamo usare un’altra metafora, abbiamo selezionato le punte di diamante che hanno solcato la strada del futuro. Sono fotografie molto importanti, datate a partire dagli Anni Sessanta, e dimostrano da dove è cominciata la mia ricerca e rivelano quindi quelli che sono stati i punti di partenza. Ma la mostra ripercorre tutta la mia carriera, fino ad arrivare a tempi recentissimi.
Oltre alle fotografie inedite, quali altre caratteristiche hanno le opere esposte?
Il percorso non è cronologico, ma consente di stabilire un anello di congiunzione tra le prime e le ultime opere. Inoltre, per la prima volta – altro aspetto inedito – sono esposte fotografie di grande formato, di due metri di lato, tutte stampate con grande attenzione alla qualità, a partire dalla scannerizzazione fino al montaggio. Le due sedi della monografica vogliono così dar vita a una mostra non tanto sul sapere – cioè su quello che già sappiamo e che è una specie di rimorchio che ci portiamo dietro – ma sulla conoscenza.
Una fotografia datata e una recente fra quelle esposte: ce le descrive?
Tra le fotografie più datate, c’è uno scatto molto interessante del 1961, mai esposto, che rappresenta una spiaggia dell’Adriatico con una composizione equilibrata tra le forme in cui si inseriscono due figure umane. Del 2017 è invece un’opera scattata a Cuba, che ritrae altre composizioni di pareti lungo una strada, significando il contenuto e interpretando le forme.
Il MATA ospita inoltre circa centoventi scatti estratti dalla collezione Fondo Franco Fontana: una scelta originale, quella di mostrare, in una monografica a lei intitolata, le fotografie di altri suoi colleghi.
Sì, si tratta di una collezione di oltre 1.600 stampe donate alla Galleria Civica di Modena: ho passato vent’anni a raccogliere opere di fotografi più o meno famosi di tutto il mondo a cui chiedevo di fare uno scambio tra un mio scatto e uno loro, proprio come da bambini ci si scambiano le figurine! Non lo facevo per il valore delle opere, ma per instaurare un rapporto di amicizia con gli altri fotografi. A Modena, tra le tante, abbiamo selezionato circa centoventi immagini che vanno in tal modo a comporre una sorta di “mia” storia della fotografia.
Sono quindi molti i rapporti di amicizia stretti con i colleghi della sua generazione.
La mia vita è stata una bella avventura: incontravo gli altri fotografi alle kermesse internazionali e ci mettevamo d’accordo di persona per lo scambio delle fotografie, ma quello che contava era soprattutto l’amicizia, perché lo scambio non si è mai basato sull’opportunità, bensì sulla responsabilità, che è un concetto molto differente.
Ci racconta una storia curiosa relativa a uno di questi scambi?
Di solito non avevo problemi, gli amici accettavano volentieri… Però William Klein – fotoreporter di fama mondiale – si sorprese un po’ quando gli chiesi di scambiare una sua fotografia con una delle mie: eravamo a casa sua a Parigi e c’era la moglie che fortunatamente parlava bene l’italiano e con cui la comunicazione era quindi più facile. Fu proprio lei a convincerlo a darmi la foto, e la cosa curiosa è che, dopo alcuni anni, ho rivisto Klein che mi ha confessato che aveva cominciato anche lui a scambiare opere con i suoi colleghi e amici!
La monografica di Modena può allora essere considerata come un bilancio delle tante sfaccettature che hanno caratterizzato il suo lavoro dall’inizio degli Anni Sessanta a oggi?
Sì, ho pensato di fare questa mostra nella mia città come testimonianza della mia ricerca per continuare a farla vivere attraverso le mie fotografie.
Da manifestazione squisitamente cittadina di Reggio Emilia, Fotografia Europea si sta sempre più espandendo a est e a ovest lungo la via Emilia: cosa ne pensa?
Ho sempre viaggiato il mondo “con l’elastico”, per poter tornare ogni volta a Modena, sulla via Emilia e nei luoghi delle mie origini. Penso quindi che essere parte di Fotografia Europea sia un grande vantaggio e che, tramite la fotografia, questa manifestazione possa legare ancor di più le città vicine che sorgono su quella strada.
‒ Marta Santacatterina
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #15
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