Tra performance e fotografia. Parola a Marilisa Cosello
Avete già sfogliato l’ultimo numero di Artribune Magazine, il 49? Nella sezione delle “stories” troverete un saggio di Angela Madesani sulla fotografia tassonomica. Che vuol dire grandi maestri, ma anche leve più giovani. Ad esempio, Marilisa Cosello.
Marilisa Cosello (1978) è un’artista particolare, che fa ricerca superando la specificità dei linguaggi: dalla performance alla fotografia, dal disegno al collage, al libro d’artista.
La tassonomia è per lei di matrice analitica, strumentale.
Qui parleremo con lei del suo lavoro Esercizi Obbligatori (2016-18), che è allo stesso tempo fotografico, performativo, editoriale, è un’opera in cui vengono presi in esame i meccanismi del potere politico, familiare, sociale. La prima parte del lavoro è dedicata all’esercizio fisico. Il richiamo è alla ginnastica del sabato fascista. I bambini, i ragazzi venivano sottoposti alla “cura del corpo”: mens sana in corpore sano.
Hai fatto approfondite ricerche sulla ginnastica scolastica dell’epoca.
Infatti. Il tema del corpo è stato per me determinante per parlare di altri due argomenti che mi stanno particolarmente a cuore: il potere nelle sue diverse forme e il limite che esso comporta.
Quando, per la prima volta, ho visto questo lavoro, mi sono venute in mente certe opere di Fabio Mauri, da Che cosa è il fascismo a Manipolazione di cultura a Gran serata futurista 1909-1930. L’artista ha studiato per anni, prima di giungere alla definizione del lavoro, ha fatto ricerche di ordine documentario, storico, ha cercato di recuperare oggetti realmente appartenuti a quel periodo.
Fabio Mauri è un riferimento imprescindibile per il mio lavoro. Ricordo che avevo letto un’intervista in cui l’artista parlava di Che cosa è il fascismo, spiegando che aveva messo in scena una sorta di banalizzazione del potere, del male, della sopraffazione, dell’autorità. Ovviamente era qualcosa che andava ben oltre a quanto era dato vedere, bisognava impegnarsi coglierlo tra le righe.
Ho deciso di dividere Esercizi Obbligatori in tre atti, come fosse un’opera musicale, che sono uno la conseguenza dell’altro, ma che, allo stesso tempo, definiscono i limiti l’uno dell’altro. Per il primo atto ho compiuto un’approfondita ricerca di matrice tassonomica sull’immaginario del potere fascista legato al corpo e in particolare sull’immaginario femminile del fascismo rispetto al corpo. Un corpo funzionante, efficiente, efficace. A Salerno, la mia città, ho trovato un libro dell’epoca, che aveva accluso un manifesto con la sequenza degli esercizi. Ho così riprodotto quanto mi era dato vedere: una donna vestita di bianco che si muove su fondo nero. In tal modo emergeva proprio la banalità di quegli esercizi.
Esercizi inutili che in qualche maniera sottolineano la sciocca e drammatica vacuità del potere in tempi di dittatura.
Le immagini più forti sono quelle che hanno a che fare con l’immagine dell’ipotetico superuomo. Qui emerge un altro elemento importante, il fatto che il corpo che non sia più identitario, ma collettivo. Dei tre atti, questo rappresenta la società, in cui l’individuo non è più tale, ma fa parte di una coralità, che tende ad annullare il pensiero del singolo.
La sequenza sembra sempre portare a qualcosa. In realtà, non arriva da nessuna parte.
Come se vi fosse un’assenza di narrazione. La seconda parte del lavoro, costituita da polaroid a colori, rappresenta la difficoltà del vivere quotidiano. I personaggi all’interno di queste scene si confrontano con la semplicità e la banalità del quotidiano: mangiano, si spogliano, si aggirano nello spazio. Vi è però una forma di limitazione, che viene accettata senza apparenti problemi. L’essere umano si può abituare a tutto, a qualsiasi tipo di limite, di coercizione, di violenza, di sopraffazione. Nessuno dei miei performer ha reagito, hanno accettato tutto senza ribellarsi. In quel momento, io esercito un potere su di loro. La situazione che avevo ricreato davanti a me, di cui ero io stessa partecipe, era la messa in scena dell’analisi sul potere, sulla sopraffazione, sul limite, sul corpo.
Quando dico “corpo” intendo individuo, mente, fisico, spirito: noi siamo un corpo, non abbiamo un corpo.
Questo secondo atto rappresenta le difficoltà del vivere e di accettare i limiti che ci vengono imposti quotidianamente.
Mi trovavo davanti alle diverse scene come un’osservatrice, non come un giudice: è importante sottolinearlo.
Certo, come sei osservatrice anche nel terzo atto.
Il terzo atto rappresenta la prima forma di società che incontriamo, la famiglia. Ho lavorato con dei performer, alcuni erano attori altri no, alcuni di loro somigliavano a me e ai miei familiari. In queste scene i ruoli dei personaggi non sono mai definiti, tutto è interpretabile.
Chi guarda ha un ruolo attivo, può immaginare quello che vuole a seconda del suo vissuto.
Perché no? In questa parte è la messinscena ridonante del familiare.
Anche qui classifichi le varie gestualità del familiare.
Esattamente, così da divenire la riproduzione degli esercizi obbligatori del primo atto. È una sorta di ciclicità sempre uguale e sempre diversa al tempo stesso.
Mi pare di potere affermare che si respira un’atmosfera beckettiana.
Direi proprio di sì, è un autore che amo.
In tutti i tuoi lavori c’è una matrice tassonomica. Magari facciamo un accenno a Matrimonio (2016-17), il lavoro che hai realizzato durante una residenza d’artista in Finlandia.
Era inverno, c’erano quattro ore di luce al giorno e le temperature erano molto basse. Ho chiesto ai fotografi di matrimonio locali se potevano darmi delle foto dei loro archivi e hanno gentilmente accettato. Ho guardato, ordinato i materiali che mi interessavano e poi li ho ri-fotografati sottoesposti. Da parte mia è stato un gesto fatto per trovare una forma di riconoscimento nell’altro, una forma di presenza fisica, di un corpo, di una memoria, in un luogo in cui il paesaggio è dominante. I finlandesi hanno un termine che identifica lo stato d’animo che li pervade, “nostàlgia”. È uno stato d’animo indefinito, dovuto al fatto che ci sono poche ore di luce, il bianco è molto presente. Rimanda alla natura dell’uomo: temporanea e passeggera al tempo stesso. Ed è proprio da qui che è scaturita la mia necessità di trovare delle forme di umano, di corpo, di vita.
‒ Angela Madesani
ha collaborato Camilla Coppola
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati